«Il grado di civiltà di una società si misura dalle sue prigioni» recitava Fëdor Dostoevskij in “Delitto e Castigo”. Se, come suggerisce lo scrittore e filosofo russo, dalle Carceri si giudica il valore e la cultura di un Paese, l’Italia non brilla. Tra le criticità che il sistema deve affrontare, quello del sovraffollamento è senza dubbio il più urgente. Tanto è stato detto e scritto sulla necessità di trovare proposte fattibili, concrete e dignitose per tutti o sulla possibilità di fare un maggiore ricorso alle misure alternative e un minore uso dello strumento della custodia cautelare, ma nessuna ‘soluzione’ è riuscita a risolvere il problema. Così, in cella – dove le condizioni sono spesso al limite – i detenuti vivono come se dovessero scontare una seconda “pena”, un’ulteriore condanna.
Una vera e propria emergenza che è costata (e continua a costare) cara dall’Italia, già condannata dalla corte Europea dei diritti umani di Strasburgo al pagamento di migliaia di euro di risarcimento per danni morali a favore dei prigionieri per il trattamento subìto.
Tutto ruota intorno all’articolo 3 della Corte europea dei diritti dell’uomo, considerato uno dei traguardi più importanti raggiunti dalla società moderna. “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti” si legge. Tra i parametri da rispettare per assicurare ad ogni recluso condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana c’è quello dello spazio personale che deve essere concesso a ciascun detenuto ai sensi della Convenzione. Se in una cella collettiva scende sotto i 3mq, la mancanza di spazio è considerata talmente grave che sussiste una strong presumption di violazione dell’art. 3 Cedu.
“Sconto” di due mesi sulla condanna
È grazie questo punto che un detenuto, assistito da un avvocato del Foro di Lecce, ha ottenuto uno ‘sconto’ sulla pena. Il Magistrato di Sorveglianza di un Tribunale del Nord Italia ha riconosciuto, oltre ogni ragionevole dubbio, la detenzione inumana in violazione dell’art 3 Cedu, accertando che l’uomo, ristretto in vari istituti penitenziari del sud Italia, abbia vissuto per quasi 700 giorno in una cella sotto i 3 mq in spregio pertanto agli insegnamenti della Cedu.
Alla luce di tutto questo, l’avvocato ha ottenuto una riduzione di due mesi e due giorni sulla pena che il suo assistito deve espiare.
Insomma, è prevista una riduzione della pena da espiare pari a 1 giorno ogni 10 giorni di reclusione vissuti nelle condizioni censurate da Strasburgo. Se la condanna è stata espiata, è previsto un risarcimento in denaro di 8 euro per ogni giorni di reclusione patito.
Fonte: leccenews24.it