Per la stessa indagine è stata già fissata al 15 dicembre l’udienza preliminare a carico della dottoressa Maria Carmela Longo, indagata per i presunti favori che avrebbe dispensato a boss ed esponenti di primo piano della ’ndrangheta.
Non commisero alcuna condotta professionale scorretta o illecita e soprattutto nemmeno l’ombra delle presunte «condotte di contiguità con la ’ndrangheta» per i cinque sottufficiali ed agenti della Polizia penitenziaria di Reggio Calabria indagati dalla Procura antimafia reggina nell’ambito dell’inchiesta che ha portato agli arresti domiciliari l’ex direttrice delle carceri di Reggio Calabria, accusata di aver determinato una gestione disinvolta negli istituti penitenziari “Panzera” ed “Arghillà” favorendo decine di detenuti, alcuni dei quali esponenti di primo piano della ‘Ndrangheta calabrese.
Ad oltre un anno dall’indagine (agosto 2020, quando furono sospesi dal servizio) il Gip di Reggio Calabria, Antonino Foti, ha disposto l’archiviazione del procedimento a carico di Mario Ripepi, Fabio Musarella, Massimo Musarella, Giuseppe Laganà, Giuseppe Pavone.
E’ stato lo stesso Pubblico ministero, Sabrina Fornaro, il sostituto procuratore che con il collega Stefano Musolino ha condotto le indagini sulla gestione “atipica” delle carceri di Reggio Calabria, a chiedere l’archiviazione del procedimento visto che “l’attività investigativa non ha fornito prova di condotte di rilievo penale” aggiungendo come “non siano sviluppabili ulteriori approfondimenti”.
Per la stessa indagine è stata già fissata al 15 dicembre l’udienza preliminare a carico della dottoressa Maria Carmela Longo, indagata per i presunti favori che avrebbe dispensato a boss ed esponenti di primo piano della ’ndrangheta nel lungo periodo (alla casa circondariale “Panzera” di Reggio Calabria dal 30 maggio 1991 al 18 febbraio 2019) in cui è stata direttrice delle carceri di Reggio Calabria.
Udienza preliminare che riguarderà anche un medico dipendente dell’Asp di Reggio, incaricato presso il carcere reggino, Antonio Pollio, per aver redatto un certificato medico attestando falsamente di aver sottoposto a vista medica la detenuta Caterina Napolitano (la terza indagata) diagnosticando “coliche renali” «per evitare che partecipasse come teste a un udienza in Tribunale».
Fonte: reggio.gazzettadelsud.it