
di Leo Beneduci_ Cronaca dell’ennesimo paradosso penitenziario.
Le osservazioni sul GIO (Gruppo di Intervento Operativo della Polizia Penitenzia), espresse di recente dal Si.Di.Pe. – sindacato dei direttori penitenziari – presentano un’ironia involontaria che non può passare inosservata: mentre si lamenta l’uso improprio del termine “Direttore” per il personale del GIO e GIR, lo stesso sindacato confonde clamorosamente le qualifiche con i gradi, riferendosi a “sovrintendente o ispettore” come se fossero gradi e non qualifiche, come invece sono correttamente classificate nell’ordinamento della Polizia Penitenziaria.
È quantomeno singolare che chi invoca rigore terminologico mostri poi tale approssimazione proprio nella conoscenza dell’architettura ordinamentale del Corpo di cui discute. Chi meglio dei dirigenti penitenziari “civili” dovrebbe conoscere la differenza tra qualifiche e gradi nella struttura della Polizia Penitenziaria?
Tuttavia, al di là di questa contraddizione, le preoccupazioni sollevate nell’intervento mettono in luce un problema reale e preoccupante: il dilettantismo normativo che regna al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. La confusione nella catena di comando durante le emergenze, la sovrapposizione di competenze, l’ambiguità nelle responsabilità operative sono tutti sintomi di un’amministrazione che procede senza una visione chiara e coerente, spesso a scatti, per slogan o su immagini più pittoresche che sostanziali.
L’attuale gestione dipartimentale, con la sua produzione normativa frettolosa e poco meditata, sta mettendo a rischio l’efficienza operativa e la sicurezza dell’intero sistema penitenziario, generando fratture tra le diverse componenti professionali che dovrebbero invece operare in sinergia per garantire l’ordine e la sicurezza negli istituti.
Delmastro, per un’Amministrazione frammentata e dispersa, in cui ogni carcere è regno a sé, avrebbe dovuto preoccuparsi delle UNIONI e non delle DIVISIONI prestando fede a frange e soggetti che hanno più a cuore l’oggi piuttosto che il DOMANI delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria.
Delmastro avrebbe dovuto guardare e comprendere, prima di attuare una riforma che così come realizzata, nella sostanza solo al Dap e neanche in maniera coerente e ottimale, non ha un possibile futuro.
Anche perché provare ad applicare alla Polizia Penitenziaria criteri e modalità organizzative che possono essere proprie dei Carabinieri o della Polizia di Stato nell’attuale Amministrazione penitenziaria NON FUNZIONA, per decine di motivi e norme, non ultimo l’articolo 9 della Legge 395/1990 sulla dipendenza “gerarchica” delle donne e degli uomini del Corpo dai direttori.
Come O.S.A.P.P. lo abbiamo detto e scritto centinaia di volte ma…non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire o di chi, per fare “cassa”, si accontenta delle vittorie di Pirro, più che mai parziali e momentanee.
I direttori, tra l’altro, ancora mantengono tutte le responsabilità datoriali di legge; per quanto tempo costoro pensano che possano restare in silenzio?
Certo, per i più recalcitranti l’offerta di incarichi di dirigente generale è sempre possibile, come in passato-presente è avvenuto, ma i posti restano limitati.
Purtroppo, lo abbiamo previsto ed accadrà: quando al Dap il potere penitenziario tornerà in mano a chi lo ha sempre esercitato e che di fatto tuttora lo detiene nelle carceri, senza che alcuno abbia potuto metterlo in dubbio, la Polizia Penitenziaria, già in precarie condizioni organizzative, di mezzi e di organico, nonostante proclami, feste e baschi multicolori, sarà ricacciata indietro di decenni.
Un abbraccio come mille abbracci.
Leo Beneduci – Segretario Generale OSAPP
Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria
Immagine: “La Vittoria Di Pirro”, autore: François Jean-Baptiste Topino-Lebrun (1764–1801)
Ufficio Stampa OSAPP