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BENEDUCI: “Polizia Penitenziaria: Eroi Silenziosi in un Sistema Penitenziario Al Collasso”

Una detenzione « contraria al senso di umanità » . Uno dei tanti ricorsi si conclude con queste parole. Lo ha presentato un recluso di San Vittore che punta il dito su due aspetti: un’organizzazione che di fatto lo costringe a stare dietro le sbarre per la maggior parte della giornata, vista l’impossibilità di svolgere attività alternative; e un sovraffollamento tale che in cella non ha nemmeno quel fazzoletto minimo di tre metri quadrati previsto dalla legge. Sarà un giudice a stabilire se ha ragione.
Quel che è certo è che sono centinaia i ricorsi simili presentati dai reclusi, molti dei quali assistiti dagli avvocati della Camera penale di Milano, la quale si concentra appunto su due fronti: il problema delle “celle chiuse” e le violazioni dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cioè i «trattamenti inumani e degradanti » in carcere, che possono portare a risarcimenti economici o “sconti” di pena.
«La situazione reale è che la gente rimane chiusa in cella per 18- 20 ore al giorno in spazi minimali » , è la sintesi di Valentina Alberta, presidente dei penalisti milanesi. « Così abbiamo ritenuto fosse fondamentale portare la situazione di centinaia di persone recluse all’attenzione dell’autorità giudiziaria, offrendoci di sostenere i reclami » . Tra le altre cose, si chiede ai Giudici di disporre la disapplicazione della circolare che di fatto impone le “ celle chiuse”, « un aggravamento delle condizioni di detenzione spaventosamente pesante rispetto a un obiettivo non centrato » , dice Alberta. La controffensiva legale è partita alla fine dello scorso anno e va avanti: molti ricorsi devono essere ancora discussi. Ma già nel primo mese del 2024 le cause per detenzione inumana e degradante sono state 555 in un solo mese, un numero più alto dell’intero 2023.
Le condizioni critiche nelle carceri spesso portano a proteste. Come l’ennesima andata in scena nella notte tra venerdì e nel minorile Beccaria. Un lenzuolo è stato incendiato in cella, si è sviluppato un incendio spento dagli Agenti, due reclusi intossicati. Un’agitazione che segue varie azioni di protesta e devastazione delle scorse settimane. Ivan Scalfarotto, capogruppo di Italia Viva in commissione Giustizia di Palazzo Madama, ha visitato il Beccaria pochi giorni fa. «Ci sono ancora le tracce delle proteste, molte celle sono inagibili perché distrutte e piene di macerie, c’è la sensazione che siano luoghi da rimettere ancora a posto». E ancora: « La maggior parte dei detenuti è straniera e sono quasi sempre minori non accompagnati che arrivano qui ma non c’è una rete che li accoglie e li protegge, quindi spesso si trovano a commettere reati come conseguenza dell’abbandono. Se si gestisse il loro inserimento non ci sarebbe il fatto criminoso».
Al Beccaria sono in arrivo 44 agenti, quasi tutti appena formati, e qui resteranno in rinforzo dopo i tredici arresti tra i poliziotti nell’inchiesta per le violenze e le torture sui detenuti. Ieri, tra l’altro, uno degli Agenti finiti in carcere – difeso dagli avvocati Leonardo Pugliese e Emanuele De Paola – ha ottenuto i domiciliari su decisione del Riesame, dopo la prima istanza respinta dal Gip. Finora al Beccaria molti Agenti erano stati distaccati, per tamponare l’emergenza. «Ma nessuno voleva andarci, è stato difficile trovarli nonostante l’indennità di missione di 110 euro lordi al giorno — denuncia il segretario generale del sindacato OSAPP- Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, Leo Beneduci — . I problemi sono rimasti invariati e in più ci sono situazioni di pericolo. E si fanno orari molto faticosi, “ Fine turno mai” diciamo in gergo per dirci che non sai quando finisci e nemmeno in quali condizioni».
Una situazione difficile. Come testimonia un Agente di Polizia Penitenziaria da poco distaccato al Beccaria: « Faccio in media dieci ore al giorno, mi è stato chiesto più volte di fare straordinari. Subiamo continuamente aggressioni da parte dei detenuti e non veniamo minimamente tutelati, ho montato più volte presso sezioni dove il “box agenti” non è a norma di sicurezza. La maggior parte dell’istituto risulta inagibile e si continua a piazzare detenuti anche in stanze senza celle e blindi, completamente aperte, anche di notte. Ci sono sezioni dove dopo svariate rivolte ci sono ancora pezzi di vetro di finestre rotte o mazze di ferro che i detenuti possono usare liberamente».

Fonte Repubblica: articolo di Ilaria Carra e Rosario Di Raimondo

Redazione OSAPPoggi

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