ROMA – “Sono 112 i boss già rientrati in cella”. Il Guardasigilli Alfonso Bonafede, accompagnato dal capo del Dap Dino Petralia, parla davanti alla commissione Giustizia del Senato che ha aperto un’indagine conoscitiva sulla carceri. Fornisce i dati sui mafiosi – in tutto 223 dice Bonafede – messi agli arresti domiciliari durante l’emergenza Covid. Dice testualmente: “Alla data del 23 settembre i detenuti del circuito alta sicurezza e quelli sottoposti al regime del 41-bis rientrati negli istituti penitenziari risultano essere 112, cioè tutti e 3 quelli sottoposti al regime del 41-bis che erano stati precedentemente sottoposti a detenzione domiciliare, nonché ai 109 detenuti appartenenti al circuito dell’alta sicurezza. Dei 112 rientrati, 70 risultano detenuti definitivi e 42 sono ristretti a titolo cautelare”.
Quindi sarebbero ancora 111 quelli tuttora ai domiciliari. Di questi Bonafede dice: “Si deve certamente ritenere che la permanenza degli stessi in detenzione domiciliare sia da ricondurre ad autonoma valutazione effettuata dall’autorità giudiziaria. Perché, lo ricordo ancora una volta, il decreto ha obbligato tutti i detenuti scarcerati per emergenza Covid a tornare davanti al giudice per una nova valutazione”. Il Guardasigilli si riferisce al suo decreto dello scorso maggio che ha imposto ai giudici di sorveglianza di rivedere la concessione dei domiciliari, rivalutandola periodicamente, la prima volta dopo un mese, e poi ogni 15 giorni. Decreto che i giudici hanno contestato ricorrendo anche alla Corte costituzionale, perché ritengono che limiti l’autonomia delle loro decisioni. Bonafede annuncia anche di aver disposto “un monitoraggio” sull’attuazione del decreto.
Ma le sue parole non frenano le polemiche. Lo attacca l’ex M5S Mario Michele Giarrusso, che fa parte anche della commissione parlamentare Antimafia, che gli chiede le ragioni per cui fu emessa la nota circolare del 21 marzo, con cui il Dap segnalava ai giudici di sorveglianza di monitorare i detenuti affetti da una serie di patologie, ma anche quelli over 70. Secondo Giarrusso ritiene che fu proprio quella circolare a determinare le scarcerazioni di numerosi boss. Circolare e successive scarcerazioni che, sempre Giarrusso, collega alle rivolte avvenute in carcere a febbraio su cui sono state aperte indagini giudiziarie per verificarne la natura e l’ipotesi che fossero il segnale di una trattativa aperta con lo Stato che poi, come conseguenza, ha portato alle scarcerazioni.
La replica del Guardasigilli arriva a fine audizione. “Il sistema penitenziario è stato trascurato per decenni, quindi si trova in una situazione di normale precarietà, che inevitabilmente entra in tensione se si affronta una pandemia che nessuna democrazia moderna aveva affrontato”. Poi ecco lo sfogo: “Rispetto tutte le opinioni, sicuramente si poteva fare di meglio, ma il Covid ha messo in crisi tutti i luoghi chiusi. Le misure adottate hanno evitato un contagio che sarebbe stato dannoso non solo per chi sta in carcere, ma anche per tutto il sistema sanitario. Perché era un quadro in cui morivano le persone e gli ospedali erano in crisi di posti. Un focolaio in un carcere con centinaia di persone coinvolte sarebbe stato una apocalisse. Il dovere di un ministro è fare di tutto per garantire le misure sanitarie, che in carcere sono un intreccio non sempre coordinabile tra coté sanitario e coté penitenziario. L’attenzione è tuttora altissima”.
Rispetto alle scarcerazioni, il ministro 5S ha chiarito: “Voglio dire una volta per tutte: nella vita si possono avere opinioni differenti, ma c’è una realtà data dal quadro normativo e che è sotto gli occhi tutti sancito a livello costituzionale. L’autonomia dei magistrati è scritta nella Costituzione, è una base della nostra democrazia e del funzionamento della giustizia. Di fronte alle polemiche, per un ministro che giura sulla Costituzione, è un dovere riferire al Parlamento, al quale ho fornito tutti i dettagli possibili sulle rivolte e sulle scarcerazioni. Ma le domande non si possono trasformare in illazioni che evocano qualcosa”.
Quindi, prosegue Bonafede, “le inchieste giornalistiche sulle scarcerazioni hanno avuto il loro merito. Ma c’è un momento in cui la politica non può mettere dentro qualsiasi cosa. Bisogna essere chiari una volta per tutti: a livello internazionale ci si muoveva con provvedimenti orizzontali per ridurre il sovraffollamento, fino ad arrivare all’indulto, applicabili quindi a chiunque. Invece questo governo ha deciso di escludere non solo i detenuti condannati per reati gravi, ma anche chi aveva avuto sanzioni nell’ultimo anno, o era soltanto stato coinvolto nelle rivolte. La volontà del governo, quindi, non è equivocabile. Mettiamo fine allo scempio della disinformazione”
Secondo il Guardasigilli “il governo ha messo nero su bianco che il decreto Cura Italia non doveva essere applicato ai mafiosi o ai detenuti coinvolti nelle rivolte. Ho voluto – ha proseguito – che il governo desse una risposta, creando un nesso tra i decreti e le rivolta. Tant’è che, nel Cura Italia, ho chiesto di prevedere i braccialetti elettronici, che nessuno prima aveva chiesto di rendere obbligatori. Io non posso commentare le decisioni dei magistrati. Se lo facessi, voi stessi direste che non posso farlo. Ma questo governo, a fronte di decisioni nelle quali non voglio entrare, ma che potevano avere conseguenze che questo Paese non può permettersi, poiché si parla di determinati detenuti, ha approvato dei decreti che rispettano il perimetro costituzionale, ma dicono che tutti quei detenuti devono essere rivalutati. Si può fare un conto giornalistico, rispetto la libertà di informazione – conclude Bonafede – ma in Italia non è consentito a un ministro della Giustizia stabilire chi deve entrare in carcere, il decreto infatti stabilisce che chi era uscito doveva tornare davanti al magistrato per una nuova valutazione”.
fonte: repubblica.it
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