Tamponi riservati ai detenuti del carcere venivano praticati anche ad agenti della penitenziaria o a impiegati, oltre che a parenti e amici, fatti entrare nella struttura evitando di andare in farmacia o in ospedale e, quindi, senza pagare. Parla di questo l’inchiesta sui “furbetti” del tampone della Procura di Biella, che ha notificato 51 avvisi di conclusione indagini ad altrettante persone, 37 delle quali appartenenti alla polizia penitenziaria.
L’indagine
L’indagine è partita dai registri Asl dei tamponi. A decine, secondo quanto anticipato dalle pagine locali del quotidiano La Stampa, si sarebbero fatti tamponare, pur senza averne diritto, allargando poi in qualche caso la possibilità anche a parenti e amici. Chi aveva bisogno di un tampone per andare in vacanza o per recarsi al lavoro, secondo l’accusa, si recava in carcere. Il tutto senza controlli di sorta. Tra gli indagati c’è anche il comandante della penitenziaria e il suo vice, nonché la responsabile dell’infermeria del carcere, poi sospesa. Peculato è l’accusa principale nei loro confronti.
Lo scandalo dei «furbetti» del tampone scuote dal vertice alle fondamenta il carcere di Biella. Cinquantuno gli indagati che ieri hanno ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, a partire dalla stessa direttrice della struttura Tullia Ardito. L’indagine, partita da una segnalazione arrivata al terzo piano del palazzo di giustizia, vista la delicatezza e le possibili implicazioni è stata coordinata direttamente dal procuratore Teresa Angela Camelio, che l’ha affidata al luogotenente Tindaro Gullo dei carabinieri della sezione di polizia giudiziaria.(lastampa)
Fonte: tg24.sky.it