Sono al momento quattordici gli agenti della polizia penitenziaria di Biella coinvolti nell’indagine sui «furbetti del tampone» che hanno chiesto di essere sentiti la prossima settimana dal procuratore Teresa Angela Camelio. Si tratta in buona parte di indagati per essersi sottoposti soltanto a uno o due tamponi nell’infermeria del carcere. La loro versione è in tutti i casi molto simile: avrebbero fatto il tampone dopo essere entrati in contatto con detenuti che si sospettava avessero contratto il coronavirus, oppure al rientro dopo un periodo di malattia. Questo da un lato senza essere a conoscenza che si trattava di una pratica non consentita, non essendo state diffuse dalla direzione note di servizio chiare sul tema, dall’altro a invitare gli agenti a effettuare per sicurezza il tampone sarebbe stato il personale medico che gestiva l’infermeria interna.
Su questa base è probabile che gli avvocati difensori chiedano per una parte degli agenti raggiunti dagli avvisi di garanzia, così come la direttrice della struttura Tullia Ardito, oggi trasferita a Marassi, e tutto il personale sanitario dell’infermeria, che la loro posizione venga archiviata.
In totale nella prima fase dell’indagine, seguita dal luogotenente Tindaro Gullo dei carabinieri della sezione di polizia giudiziaria e coordinata dal procuratore Camelio, gli indagati sono stati ben cinquantuno, con posizioni e responsabilità molto diverse: in qualche caso infatti i tamponi effettuati nell’infermeria interna, che dovrebbe occuparsi soltanto dei detenuti, sono stati anche diciotto e in altri estesi ad amici e familiari.
Fonte: lastampa.it