Il conto per lo Stato è diventato salatissimo: 44,3 milioni di euro. È quanto alla fine della storia i Ministeri di Giustizia e Infrastrutture avranno versato alla società Sintesi spa, controllata dalla holding Bastogi dei fratelli Cabassi (la più antica società quotata alla Borsa italiana), per la querelle legata alla costruzione del carcere di Bollate. Nei giorni scorsi, le Sezioni Unite della Cassazione civile hanno infatti respinto l’ultimo ricorso presentato dal Governo che puntava a ridimensionare l’ultima voce rimasta ancora in sospeso, i 13,4 milioni di euro di “occupazione senza titolo” (o in alternativa a tirare in ballo pure la concessionaria Itinera), chiudendo così una partita durata per un quarto di secolo. Partiamo dall’inizio.
Per avviare la realizzazione del penitenziario, nel 1996 i Ministeri di Lavori pubblici e Giustizia espropriano un’area di proprietà di Sintesi spa, su territorio del Comune di Milano, e la affidano all’associazione temporanea d’imprese incaricata dei lavori, capitanata dalla Grassetto (oggi Itinera spa). Il carcere di Bollate, destinato a diventare uno dei più innovativi d’Italia, viene inaugurato nel dicembre del 2000. Tutto finito? No, perché No, perché Sintesi chiede l’annullamento del decreto di esproprio emanato dalla Prefettura. Nel 2012, il Tar certifica l’occupazione illegittima della zona e dispone la restituzione del bene immobile e il risarcimento del danno. Prima che la causa arrivi in Consiglio di Stato (che nel 2014 confermerà quanto stabilito in primo grado), il Ministero delle Infrastrutture adotta un decreto di acquisizione sanante, una sorta di sanatoria che assegna a Sintesi indennità per 7,4 milioni di euro. I diretti interessati incassano la cifra, ma precisano che per loro si tratta solo di un acconto. Nell’ottobre del 2013, infatti, la società controllata da Bastogi si rivolge alla Corte d’Appello di Milano per ottenere “la rideterminazione delle indennità”. Il 28 novembre 2016, arriva l’ordinanza: i giudici alzano l’ammontare del risarcimento a 44,3 milioni di euro (da cui sottrarre i 7,4 milioni già versati), di cui 28,1 come indennità “per pregiudizio patrimoniale”, 2,8 “per pregiudizio non patrimoniale” e 13,4 “per occupazione senza titolo”. A quel punto, il Governo fa ricorso in Cassazione, limitandosi a chiedere un ricalcolo dell’ultima voce da 13,4 milioni, e contestualmente chiede alla Corte d’Appello di sospendere l’ordinanza esecutiva (istanza respinta nei mesi successivi).
E Sintesi? Fa ricorso al Tar per chiedere che i Ministeri di Infrastrutture e Giustizia paghino finalmente quanto stabilito dalle sentenze, o quantomeno che depositino presso la Tesoreria della Cassa depositi e prestiti (Cdp) la somma di 23,6 milioni di euro. Vale a dire: la cifra che viene fuori se sottraiamo dai 44,3 milioni iniziali i 7,4 bonificati nel 2013 e i 13,4 sub iudice. A inizio luglio 2018, i giudici amministrativi danno ragione a Sintesi spa e puniscono l’inerzia di Roma: entro 60 giorni, quei 23,6 milioni dovranno essere depositati alla Cdp; nei successivi 45 giorni, dovranno essere effettuati, nell’ordine, lo svincolo delle somme e il pagamento. In caso di ulteriori ritardi, interverrà il commissario ad acta, il direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. E adesso? A tre anni esatti di distanza dall’ultimo pronunciamento giudiziario, è arrivata la sentenza della Suprema Corte. In particolare, i giudici hanno chiarito che è stato utilizzato un parametro corretto per conteggiare l’ammontare della cifra da saldare per l’occupazione illegittima subita dal gruppo Bastogi: il 5% annuo del cosiddetto “valore venale dell’area”, secondo la stima effettuata dal consulente tecnico d’ufficio.
Un parametro, l’interpretazione, che non può essere ritenuto “irragionevolmente gravoso per la parte pubblica”, come sostenuto dai Ministeri ricorrenti, essendo comunque “inferiore a quanto dovuto dalla stessa amministrazione per l’occupazione legittima” di un bene altrui, pari a un dodicesimo dell’indennità annua (8,33%). Conclusione: il prezzo è giusto. Quindi, al conto totale vanno definitivamente sommati quei 13,4 milioni rimasti in stand by.
Fonte: ilgiorno.it
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