Il sopralluogo nel penitenziario maschile a Santa Maria Maggiore degli avvocati penalisti veneziani. Nelle celle 260 persone, ma c’è posto solo per 159. – Celle sovraffollate in un’estate torrida dove solo chi può permettersi la spesa può comprarsi un ventilatore. E con una sola lavatrice di istituto a disposizione dell’intero carcere. «Nelle camere detentive si contano in pochi metri quadrati da 3 a 6 reclusi, con brande su 3 piani, vecchi materassi e cuscini in gomma piuma, tavolini e sgabelli insufficienti, servizi igienici carenti», raccontano gli avvocati della Camera penale veneziana Antonio Pognici, dopo un sopralluogo, «ventilatore solo per chi può permettersi la spesa, niente frigorifero e lavatrice “d’istituto” in uso collettivo a turno». Con i legali della Camera penale – presieduta dall’avvocato Renato Alberini – anche il Garante dei detenuti di Venezia e il consigliere comunale Paolo Ticozzi. Ad accompagnarli, il direttore Enrico Farina e il capo area educativa. Tutto nasce dal sovraffollamento, storica emergenza. «Nell’istituto sono attualmente presenti ben 260 ristretti a fronte di una capienza regolamentare di 159 posti», prosegue la nota con la quale la Camera penale tira le fila della visita, «gli stranieri sono 153 (60%) e tra i 175 detenuti con condanna definitiva, ben 71 hanno un residuo pena inferiore ad un anno. Un esiguo numero è occupato per l’Amministrazione penitenziaria e solo tre detenuti lavorano nel laboratorio interno della Cooperativa Rio Terà dei Pensieri». Santa Maria Maggiore – nonostante l’impegno del nuovo direttore e del personale – resta una delle carceri simbolo di quanto il concetto di pena come opportunità di recupero sociale sia lontanissima dalla realtà. «Questi pochi dati», denunciano gli avvocati veneziani, «fotografano una detenzione al limite del rispetto della dignità degli individui e non proiettata verso la loro risocializzazione, tenuto altresì conto della presenza di numerosi detenuti tossicodipendenti e con problematiche di disagio e psichiatriche, amplificate dal sovraffollamento. In tale contesto, il “decreto carcere” di recente emanazione è assolutamente insufficiente e inadeguato a risolvere le problematiche carcerarie di cui l’impressionante numero di suicidi di quest’anno – 66 tra detenuti e agenti penitenziari- è il preoccupante termometro». Il direttore Enrico Farina, giunto a Venezia solo da pochi mesi, è impegnato a reperire sul territorio opportunità di formazione e lavoro: in corso il recupero dell’ex casa lavoro alla Giudecca chiusa da decenni e ora destinata a un modello di “custodia attenuata”. Ha anche raggiunto accordi con l’Ava, l’associazione albergatori, per un inserimento lavorativo per chi vede avvicinarsi la fine pena e deve ricostruirsi una vita “fuori”. Da parte loro, con il direttore gli avvocati penalisti hanno posto le basi per la definizione di un “protocollo per la prevenzione dei suicidi” (sono stati 3 nel 2023, 2 nel 2024 a Santa Maria Maggiore) che coinvolga anche la sanità penitenziaria. E cercato di risolvere anche problemi quotidiani, come introdurre un servizio mail per favorire la comunicazione tra detenuti, familiari e avvocati, mettendo poi a disposizione borse di studio, per incentivare lo svolgimento di attività lavorative anche all’esterno. «Tutto ciò», concludono i penalisti, «nella comune convinzione che restituire dignità alla detenzione e garantire un trattamento individualizzato per ogni ristretto, anche con misure alternative alla detenzione, sono obiettivi perché il carcere non produca marginalità, ma sia effettiva occasione di risocializzazione ».
Rassegna Stampa OSAPPOGGI.it – Fonte: nuovavenezia.gelocal.it