
di Leo Beneduci_ Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – il Dap si mobilita con impressionante tempestività quando i riflettori di Striscia la Notizia illuminano il fenomeno dei cellulari in carcere. Improvvisamente, il regime di sorveglianza particolare ex art. 14-bis diventa lo strumento d’elezione, immediatamente disposto sulla carta per placare l’indignazione pubblica. L’ipocrisia del sistema emerge poi, in tutta la sua evidenza, quando si constata che quella stessa rapidità d’intervento svanisce nel nulla di fronte alle continue aggressioni subite dagli agenti di Polizia Penitenziaria. I servizi televisivi generano reazioni immediate, i “fiumi di sangue” versati quotidianamente dal personale non meritano la stessa attenzione. Sulla carta, il DAP dispone l’applicazione del 14-bis, ma nella realtà questa disposizione si dissolve nell’inconsistenza dell’attuazione pratica. Senza circuiti dedicati e strutturati, la concreta applicazione trova spesso scuse plausibili e viene completamente abbandonata alla discrezionalità delle direzioni, trasformando una misura potenzialmente efficace in un’evanescente dichiarazione d’intenti. La sostanza è questa: quando serve tacitare uno scandalo mediatico, il regime di sorveglianza particolare diventa priorità assoluta; quando si tratta di proteggere chi ogni giorno rischia la propria incolumità nelle carceri, lo stesso regime diventa improvvisamente difficile da applicare, complicato da gestire, impossibile da strutturare. Questa è la realtà di un sistema che reagisce agli scandali televisivi ma resta sordo al grido d’aiuto del proprio personale, che emana circolari destinate a restare lettera morta, che proclama severità ma pratica l’indifferenza quando le telecamere si spengono. Se ci fosse un Dap dei fatti e non delle parole e dei posti importanti non per chi merita ma per gli amici degli amici, al centro e nei PRAP sarebbero in grado di conoscere, in ogni sede i provvedimenti che realmente occorrono per arginare disordini e devastazione, ovvero se i comunque scarsi provvedimenti emanati vengono applicati oppure bloccati da questo o quel direttore/comandante. Se ci fosse un Dap dei fatti e non delle parole i traffici che il carcere sempre più coltiva ed incrementa potrebbero essere fermati ed altrettanto sarebbe per le aggressioni e per le morti. Se ci fosse un Dap dei fatti e non delle parole, chi lavora nelle sezioni detentive sarebbe orgoglioso di farlo e non dovrebbe temere, quali principali nemici, la propria amministrazione e i propri vertici.
Ma quel Dap non c’è, né mai in tali condizioni, anche per le dissennate/interessate scelte della politica (o di quei “particolari” politici) ci potrà essere la Polizia Penitenziaria che abbiamo sempre sognato.
Risulta lecito chiedersi per quale ragione chi, anche di eccelsi qualità e ruoli istituzionali e religiosi, in particolari giornate sul dissesto delle carceri lancia accoratissimi appelli immediatamente dopo se ne scorda per poi magari ripeterli, tali e quali, l’anno successivo.
Fraterni Saluti a tutti.
Leo Beneduci – Segretario Generale OSAPP
Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria
Ufficio Stampa OSAPP