La riforma della Giustizia “deve ridare una dignità ai reclusi creando opportunità per i detenuti. Ma occorre anche puntare sul personale e rimotivarlo. Chi ha partecipato alla mattanza di Santa Maria Capua Vetere deve pagare senza sconti, ma se qualcuno pensa di migliorare le condizioni dei reclusi disprezzando chi lavora nelle carceri sbaglia gravemente”. Così a La Stampa di Torino Sebastiano Ardita, ex direttore generale del Trattamento detenuti del Dipartimento amministrazione penitenziaria, poi procuratore aggiunto a Messina e Catania, ora consigliere togato del Csm.
E ancora: “Le carceri sono la cartina di tornasole della nostra società e restituiscono impietosamente quello che investiamo su di esse. Se puntiamo nella rieducazione minimizzano il rischio di recidiva; se le consideriamo una discarica sociale, saranno luoghi di produzione di altri crimini”.
Per questo, spiega Ardita, “occorre creare nuove opportunità e far rivivere lo spirito della riforma del 1975 – continua il magistrato – vanno riscritte le regole della sicurezza e vanno ridisegnati gli spazi e le opportunità per restituire dignità ai reclusi e alle loro famiglie”. E contro il sovraffollamento “si devono costruire nuove carceri, con enormi spazi per il lavoro e i rapporti con la famiglia. Si deve procedere al varo di pene alternative – prosegue Ardita – ma sottoporre a controlli sul territorio chi ne fruisce. Il carcere deve tornare ad essere l’extrema ratio, ma anche un luogo di investimento sociale, di welfare rafforzato. La riforma è importante e va fatta, ma non abbiamo un apparato in grado di garantire controlli reali e di evitare l’elusione dei percorsi alternativi”.
E dice: “Si potrebbe approfittare del momento per affidare questo compito delicato alla Polizia Penitenziaria, che sarebbe in grado di fare ciò che accade in altri Paesi. Cioè una capillare azione di controllo sui percorsi di rieducazione, che passi da un costante controllo dell’affidato in prova: dalla verifica della sua attività lavorativa, sino alle sue frequentazioni e all’uso di sostanze stupefacenti. Oggi le esperienze di messa alla prova e di misura alternativa sono fallimentari, perché basate su controlli formali”.
Sulle ultime novità sulla prescrizione della riforma Cartabia, Ardita risponde:
“La riforma del sistema penale, con riguardo alla prescrizione e alla improcedibilità dei giudizi di appello che si prolungano oltre il biennio, metterebbe in crisi l’intero sistema di giustizia perché l’attuale condizione delle Corti non sarebbe in grado di gestire le pendenze in quei termini. E naturalmente una deflazione che avviene per incapacità di gestire i tempi finirebbe per travolgere in modo indiscriminato anche i processi di mafia e quelli per fatti di grande allarme sociale. Altre norme, come quella sulla discovery anticipata e sul controllo giudiziario dell’iscrizione, così come concepite possono interferire negativamente sull’azione investigativa”.
Fonte: livesicilia.it