La sollecitazione che fa l’avvocato Riccardo Polidoro sulle pagine del Riformista è sacrosanta. La politica italiana, in larga misura, si è per troppo tempo tenuta a distanza dal tema dell’esecuzione penale e del rispetto dello Stato di diritto nelle carceri. Tale situazione è clamorosamente peggiorata a seguito del governo giallo-verde, sulla base di un programma ideologicamente votato alla carcerizzazione come risoluzione dei problemi della sicurezza del Paese e non è migliorato adeguatamente nel governo di cui pure io sono sostenitore, in particolare, per la perniciosa continuità determinata dalla conferma del ministro Alfonso Bonafede quale guardasigilli. Il principale intervento su questa materia del ministro è stato, fin dall’inizio della legislatura, smontare tutta la riforma dell’esecuzione penale realizzata sotto i governi Renzi e Gentiloni con il ministro Andrea Orlando, costruita in due anni di lavoro massacrante con centinaia di contributi eccellenti, tra i quali proprio quelli dell’avvocato Polidoro. Si tratta, dunque, di un problema generale che, peraltro, ha attraversato nel corso degli ultimi mesi una spettacolarizzazione drammatica, che ha portato anche alle doverose dimissioni del precedente capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Francesco Basentini, del suo vice e del direttore generale dell’ufficio dei detenuti. Il fallimento di questa gestione è sotto gli occhi di tutti ma, purtroppo, il prezzo lo stanno pagando le persone private della libertà, gli operatori della polizia penitenziaria e i civili che vivono la quotidianità delle carceri.
Su questo punto si tratta, innanzitutto, di continuare una battaglia di civiltà insieme a quei soggetti – dall’Unione delle camere penali fino ai radicali – che non hanno mai smesso di ricordare in quali condizioni drammatiche si trovasse il nostro sistema penitenziario. Perché è assolutamente vero che c’è una carenza strutturale nel sistema delle carceri come dimostrano gli esempi citati dall’avvocato Polidoro dal carcere di Santa Maria Capua Vetere fino a Poggioreale, per dire solo della nostra regione – ma il problema di fondo è soprattutto di politica penale, di quante persone e soprattutto di chi finisce in carcere. Possiamo affermare senza tema di smentita che l’attuale configurazione del sistema dell’esecuzione penale non va nella direzione di una piena applicazione dell’articolo 27 della Costituzione.
Ciò comporta un abbassamento della civiltà del nostro Paese, che non ottempera ai doveri di uno Stato che ha in custodia persone private della libertà a seguito di provvedimenti penali, ma anche un abbassamento del livello di sicurezza nel nostro Paese, in quanto non favorisce la diminuzione della recidiva. Il mancato rispetto delle condizioni di vita dei detenuti e delle condizioni di lavoro degli operatori penitenziari, ha quindi degli effetti generali, nonostante l’oblio di tanta parte della politica. La sollecitazione di Polidoro, però, si rivolge anche agli attuali candidati al rinnovo delle presidenze dei Consigli regionali. Tale richiamo è opportuno nella misura in cui le Regioni possono, pur non avendo una competenza diretta sulla gestione del sistema penitenziario, essere soggetti fondamentali per la realizzazione di interventi concreti sul sistema carcerario. Ci sono diversi campi di intervento e proverò qui a illustrarne alcuni. In primo luogo le Regioni, insieme agli enti locali, possono definire dei piani di impiego per favorire il reinserimento sociale dei detenuti. Si potrebbe definire, in accordo con il sistema di imprese, un vero e proprio piano di formazione, per detenuti definitivi o in attesa di giudizio, che li possa sottrarre alla spirale criminale che spesso appare come l’unica alternativa possibile nel momento in cui tornano liberi. Un altro tema fondamentale è quello di rafforzare il sistema sanitario, oggi non più di competenza del Ministero della Giustizia, ma che è direttamente sotto la competenza delle Regioni. Su questo tema è opportuno ricordare che la maggior parte dei detenuti, in particolare quelli comuni, sono soggetti che soffrono patologie conseguenti all’uso di sostanze stupefacenti. In tal senso un rafforzamento dei presidi sanitari e psicologici sarebbe di fondamentale aiuto.
Altro tema delicatissimo e quello delle rems, ovvero delle residenze sanitarie per soggetti affetti da patologie psichiatriche, che sono completamente sotto la responsabilità delle regioni. Anche per queste strutture il ruolo della Regione è assolutamente fondamentale per garantire il buon funzionamento del sistema. Infine le Regioni potrebbero intervenire in maniera molto più determinata per la realizzazione di protocolli di intesa con il Ministero della Giustizia per garantire la massima tutela di quei minori che, purtroppo, sono in carcere con le madri in quanto di età inferiore ai tre anni. A questi bambini, che evidentemente non hanno colpa, non può essere inflitta una vessazione così gigantesca, i cui effetti nella delicatissima età della formazione potrebbero essere devastanti. C’è quindi davvero un grande lavoro da fare e sono convinto, in particolare per la forza che legittimerà la vittoria che io auspico di Vincenzo De Luca, che tale autorevolezza possa essere trasfusa nell’impegno nei confronti di chi non ha voce ma conserva i diritti costituzionali. La sicurezza è un bene che va tutelato proprio aumentando i diritti delle persone, a partire da quelli che deve necessariamente garantire lo Stato.
Gennaro Migliore
fonte: www.ilriformista.it