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Botte, privazioni del sonno e stupri punitivi. I casi denunciati da alcuni media, sui social e da Amnesty International. Le testimonianze dei primi liberi dal Centro di Isolamento di via Akrestsin a Minsk.
Botte, privazione del sonno, mancanza di acqua e cibo. Poi urla, minacce di ogni tipo, compreso per le ragazze (l’immancabile) stupro ‘punitivo’. In una parola: torture. Il quadro che emerge in Bielorussia, man mano che i primi fermati nel corso delle proteste vengono rilasciati per scadenza dei termini, è pesantissimo. Le violenze sono documentate in modo inequivocabile. Dal centro per i diritti umani Viasna, dai media indipendenti come Tut.by e Meduza, dal canale Telegram dell’opposizione Nexta e da singoli testimoni oculari sui social. Accuse rilanciate da Marie Struthers, direttrice di Amnesty International per l’Europa orientale e l’Asia centrale.
«I centri di detenzione sono diventati camere di tortura, dove i manifestanti sono costretti a giacere per terra mentre la polizia li prende a calci e li picchia con i manganelli» ha denunciato Struthers. Uno, in particolare, il Centro di Isolamento di via Akrestsin a Minsk, è diventata la prigione degli orrori. È qui che sono state inviate la maggior parte delle 6.700 persone fermate nel corso degli scontri. Ed è qui che alle 22.30 del 13 agosto i primi liberati hanno iniziato rivelare la dimensione della loro ordalia. «Mi hanno picchiata, umiliata, mi hanno tolto le mutandine, mi hanno detto che mi avrebbero violentata e che nemmeno mia madre mi avrebbe riconosciuta alla fine del trattamento…» racconta una ragazza in lacrime, scossa fino allo spasmo.
La sua testimonianza circola su Twitter insieme a tante altre.
Chi è lì, in via Akrestsin, descrive scene inimmaginabili, giovani sotto shock che piangono senza riuscire a parlare, feriti che zoppicano. Alcuni escono dalla prigione solo per essere caricati sulle ambulanze e portati direttamente in ospedale. In altri video si sentono distintamente urla e pianti provenire dalle prigioni avviluppate nell’oscurità . Perché le torture non avvengono solo a Minsk. Ma ovunque siano stati portati i manifestanti dopo che il sistema penitenziario è stato travolto dai numeri. Tanto che persino capire dove siano stati richiusi parenti e amici diventa arduo. «Dove si trovano le persone detenute è una bella domanda: noi stessi non sappiamo esattamente dove vengono portate» dice Valentin Stefanovich, attivista per i diritti umani di Viasna, a Meduza. «Nel centro di via Akrestsin, come sappiamo dalle persone che sono già state rilasciate, ci sono 30, 40, 50 e anche 60 persone in celle progettate per quattro o otto persone» ha detto Valdis Fugash, rappresentate di Human Constanta, un’altra ong attiva in Bielorussia. La ricerca dei propri cari passa allora per le chat Telegram, nel caos più totale e nella reticenza delle autorità . Tanto la situazione è sfuggita di mano che il ministro dell’Interno Yury Karayev è apparso in tv per gettare acqua sul fuoco. «Mi scuso per le ferite riportate dalle persone che durante le proteste che si sono trovate in mezzo» ha detto. Difficile che basti.
da lastampa.it
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