CARCERE CIVITAVECCHIA

Carceri e salute: Civitavecchia tra le otto strutture dove si combatte l’epatite C

“Ci sono voluti 30 anni per trovare una cura per sconfiggere l’Epatite C e speriamo che siano sufficienti pochi altri mesi per vincere la Covid-19, soprattutto in ambiti di estrema fragilità quali le carceri, laddove si annida un cospicuo serbatoio di pazienti HCV positivi”. Prende le mosse da questa affermazione l’iniziativa di SIMSPe, Società Italiana di Malattie e Sanità nei Penitenziari. “Come nella popolazione libera c’è stato uno stop nei trattamenti, anche nelle carceri vi è stato un rallentamento a cui adesso dobbiamo far fronte – evidenzia il professor Sergio Babudieri, Direttore Scientifico di SIMSPe e referente del progetto in seno al gruppo di lavoro ministeriale di sette persone che si occupa degli screening gratuiti previsti dall’emendamento al Milleproroghe – la metodologia applicata è basata su un approccio che prenda in esame le singole sezioni di ciascun penitenziario (una sezione abitualmente è composta da 60-70 detenuti circa). Il progetto è già partito in otto carceri, trasversali alle diverse regioni: tra questi figura il carcere di Civitavecchia (gli altri sono San Vittore a Milano, Sassari, Alghero, Genova, Salerno, Eboli, Vallo della Lucania). Il progetto era già partito prima della pandemia, analizzando al 31 gennaio 2020 un campione di 2758 persone, distribuite in 46 sezioni detentive: di questi sono state analizzate le cartelle di 2173 soggetti, quindi il 78,8%, di cui la quasi totalità, 2038, il 93,8% ha eseguito i test antihcv: la prevalenza di HCV è stata del 10,3%. L’aspettativa era che fossero viremici almeno 3 su 4, mentre siamo a meno della metà: ciò significa che in molti sono già stati avviati alla terapia nei Serd o nei centri specializzati, quindi anche nelle persone detenute si sta osservando una riduzione del numero dei malati come conseguenza dei trattamenti estesi avvenuti negli ultimi anni nella popolazione libera”.

La pandemia ha interrotto il processo di eradicazione del virus nei pazienti affetti da Epatite C, con un decremento di circa il 90% dei trattamenti. Un peso che grava sul rallentamento già verificatosi nei primi mesi del 2020, quando emergevano le prime difficoltà nell’individuare i soggetti da trattare. L’innovazione garantita dai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA) per il trattamento dell’epatite C ha avuto una portata rivoluzionaria per la possibilità di eradicare il virus in maniera definitiva, in tempi rapidi e senza effetti collaterali, ma una volta trattati i pazienti conclamanti, restano fuori coloro che sono ignari di aver contratto il virus, il cosiddetto “sommerso”. Per questo è necessaria una vera politica di screening, che riguardi in primis le cosiddette “key populations”, come tossicodipendenti e detenuti. L’emendamento al Decreto Milleproroghe approvato lo scorso febbraio ha stanziato un fondo di 71,5 milioni di euro per il biennio 2020-2021 per l’accesso gratuito allo screening, ma necessita di un’applicazione entro l’anno.

Il processo in corso ricorda quanto già avviato da alcuni anni per l’Hiv, virus che a differenza dell’Hcv non si può eradicare ma solo controllare impedendone la replicazione e azzerando la viremia fino a renderlo non trasmissibile. “Si sta verificando ciò che è avvenuto anche per l’HIV – spiega il Prof. Babudieri – Nel 2001 l’8,4% dei detenuti erano positivi, nel 2005 il 7,5%, nel 2008 il 7,3%, nel 2010 il 6,2%, nel 2012 il 5,2%, nel 2015 il 3,1%, ora siamo intorno all’1,8%: non sono diminuiti i comportamenti a rischio, ma i trattamenti che azzerano la viremia ematica riducono anche la possibilità di trasmissione, quindi restano quasi solo i vecchi positivi. Questo ci dice che quando si interviene nella cura di una malattia su un singolo si hanno effetti su tutta una popolazione. Il fatto che metà delle persone detenute positive al test HCV sia guarito dal virus grazie ai trattamenti risolutivi e ai farmaci DAA significa che il numero si sta riducendo e, conseguentemente, che si restringe il serbatoio dei malati che possono trasmettere il virus”.

Il tema dell’eliminazione dell’Epatite C nelle carceri è al centro del XXI Congresso Nazionale SIMSPe “L’Agorà Penitenziaria 2020”, in corso dal 1° al 3 ottobre come inedita Web-Conference con i partecipanti esclusivamente collegati online. Presenti nella consueta sede congressuale a Roma i dirigenti di SIMSPe e alcuni relatori, ma molti contributi vengono trasmessi in via telematica. Le relazioni si sviluppano lungo quattro moduli principali. “Abbiamo avviato una riflessione sulla quotidianità di ognuno di noi, attraverso quattro grandi macrosettori in cui si articola il nostro lavoro: le malattie infettive, la psichiatria, l’attività delle professioni sanitarie, le problematiche medico-legali” spiega il Prof. Babudieri.“Il Coronavirus si è per fortuna ad oggi affacciato in pochi Istituti ma non sono riportati eventi tragici al loro interno – evidenzia il presidente SIMSPe Luciano Lucanìa – al centro del dibattito, come è naturale, vi sono tutte le situazioni che abbiamo vissuto in questi mesi terribili e le nostre esperienze, preziose per trovare le soluzioni migliori ai diversi problemi clinici, organizzativi e logistici che possono emergere in questo ambito. Tutte le nostre attività nell’ambito delle diverse discipline sono inserite nei topics di questa Agorà”.

fonte: civonline.it

Giuseppe Proietti Consalvi

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