A un anno dalle rivolte scoppiate per la pandemia il direttore descrive un’amministrazione che ha cambiato passo rispetto a quando “era presa da sfiducia e timore, e prendeva decisioni tiepide per paura di sbagliare ed esporsi”. Aumentano i contagiati, ma a fronte di più tamponi eseguiti.
I vaccini anti Covid entrano in carcere. E Dino Petralia, il capo del Dap, davanti alla commissione Antimafia, fornisce le cifre “aggiornate alle 21 di martedì sera”. Sono 1.005 i detenuti vaccinati finora. E oltre 5mila tra il personale delle prigioni è già stato “avviato alla vaccinazione”. Petralia, a un anno dalle rivolte nelle prigioni italiane, i cui danni sono costati 20 milioni di euro, parla di un’Italia in cui il meccanismo delle vaccinazioni varia da Regione a Regione, ma sta funzionando. Anche rispetto a un numero di detenuti passato dai 61.230 del febbraio 2020 ai 52.599 di oggi. Se a maggio dell’anno scorso i positivi erano 161 tra i detenuti e 229 tra il personale, al 9 marzo ce ne sono 467 tra chi sta in cella, di cui 439 asintomatici, 8 sintomatici, 20 ricoverati. Mentre tra il personale sono 600 i positivi, 585 gli asintomatici, 63 i sintomatici e 12 i ricoverati. “La pandemia è immanente, si succedono le ondate” dice Petralia, ma oggi sul numero dei contagiati sicuramente influisce il maggior numero di tamponi effettuati rispetto a quelli di un anno fa.
A un anno dalle rivolte
Petralia, ex procuratore generale a Reggio Calabria, parla a braccio. Cita più volte il suo vice Roberto Tartaglia, ex pm di Palermo ed ex consulente della stessa Antimafia, giunto come lui a maggio 2020 al vertice delle carceri, per scelta dell’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede sull’onda delle scarcerazioni e dopo le dimissioni dell’ex direttore Francesco Basentini.
Petralia descrive quello che ha trovato al suo arrivo: “Una situazione delle più drammatiche e tragiche per l’amministrazione, dopo tre eventi come le polemiche dopo le scarcerazioni, il dopo rivolte, e il tutto nel bel mezzo di una pandemia che ci coinvolge tutti”. Ammette che “non è stato facile” venirne a capo. “Io non spengo mai il cellulare” racconta Petralia “neppure di notte”, e dice di averne passata più di una in piedi, “come quella appena trascorsa quando non ho dormito perché è morto un detenuto al 41 bis”.
L’eredità di “un’amministrazione disarmonica”
Racconta Petralia: “Ho trovato un’amministrazione disarmonica, presa da sfiducia e timore, portata a prendere decisioni tiepide, cioè il sentimento peggiore, per la paura di sbagliare e di esporsi. Il mio obiettivo, con Tartaglia, è stato quello di affrontare la disarmonia, la disaffezione, la demotivazione, la sfiducia, il conseguente atteggiamento timido e timoroso”.
Il capo del Dap descrive i numerosi incontri con la magistratura, dal procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, ai procuratori distrettuali di tutta Italia che decidono esecuzioni e 41bis, ai magistrati di sorveglianza, al procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi. L’obiettivo è stato quello di “mettere fine ai disguidi sorti a seguito di comunicazioni che poi hanno prodotto ulteriori disguidi”.
Gli interventi sui penitenziari danneggiati
“Possiamo parlare di un’opera compiuta” spiega Petralia. Venti milioni di euro sono stati spesi per ripristinare i danni nelle carceri dove ci furono 80 feriti tra il personale e 13 detenuti persero la vita. “I lavori sono stati accelerati e ultimati” spiega il direttore del Dap tranne che per le carceri di Trapani e di Modena – il penitenziario che ha riportato i danni più gravi – “dove però si aspettano solo gli ultimi cancelli”.
Petralia guarda anche alla situazione di oggi: “In coincidenza con l’anniversario delle rivolte ci sono manifestanti fuori dagli istituti che vengono costantemente monitorati dal Nic, il Nucleo di investigazione centrale che con la sua attività di intelligence consente di controllare tutte le associazioni criminali italiane e straniere che operano nel Paese”.
Le scarcerazioni, la circolare del 21 marzo, il 41bis
Petralia dice “di aver letto ogni singolo fascicolo” dei detenuti mandati ai domiciliari, tra cui quattro al 41bis e tre in alta sorveglianza. Spiega di aver potuto “ridimensionare i numeri stessi delle scarcerazioni riducendoli ad alcune centinaia”. E sulla circolare del 21 marzo – che indicava agli stessi magistrati di sorveglianza le categorie di detenuti da considerare in vista di una possibile incompatibilità con il carcere, tra cui anche gli over 70 – comunica di averla “congelata”. Quindi quella circolare “non funziona più e nulla fa pensare che possa essere riesumata”. Sottolinea che, comunque, le oltre 200 scarcerazioni sono state decise “dall’autorità giudiziaria nella sua più totale autonomia”. Sul 41bis Petralia premette che “la circolare del 2017 va rivista, arricchita e migliorata”. Per i 754 detenuti al carcere duro il direttore del Dap ha firmato una delega specifica per Tartaglia. L’attività di monitoraggio del Gom, il Gruppo operativo mobile, e del Nic è costante.
Cartabia, “la pena non è mai una vendetta”
Giusto nella stessa giornata in cui la Guardasigilli Marta Cartabia, più volte citata da Petralia nel suo discorso, dice che “la pena non è mai una vendetta”, che “il tempo della detenzione non è un tempo di mera attesa, ma un tempo di cambiamento, volto al reinserimento del detenuto”, anche perché “le statistiche mostrano che a fronte di un trattamento più costruttivo corrisponde un più basso tasso di recidiva”, lo stesso Petralia spiega di essere intervenuto proprio su questo. Perché nelle carceri “si andava comprimendo l’aspetto trattamentale, erano diradati gli incontri con l’esterno” e quindi “era urgente mettere le basi per programmare protocolli con associazioni, enti pubblici e privati che garantissero il trattamento”. Ricorda “Dap” vuol dire proprio questo, direzione dei detenuti, ma anche del trattamento. “Un interdipendenza da cui – secondo Petralia – non si può sfuggire”.
Fonte: repubblica.it