Il Garante nazionale dei detenuti e delle persone private della libertà personale parlerà oggi in conferenza stampa dei numerosi campi di intervento a cui dedica la propria attività. Mauro Palma, presidente del collegio dell’istituzione di garanzia, ha anticipato al manifesto le questioni principali.
Le rivolte nei penitenziari hanno segnato l’inizio del lockdown. Qual è la situazione all’interno delle carceri nella fase di «convivenza con il virus»?
Dal punto di vista del contagio il sistema penitenziario ha tenuto. Fino al 25 agosto i positivi in carcere sono stati in totale 290. Tra loro si contano 34 ospedalizzati. Il virus è entrato in 42 strutture su 191. Dal punto di vista della vita in carcere è positivo che all’interruzione delle visite è corrisposta una sperimentazione dei sistemi di video chiamata. Questo ha avuto un effetto calmante sulla «doppia ansia»: la paura del virus e quella che si prova in un luogo di restrizione. L’uso degli smartphone ha permesso ai detenuti di vedere i propri contesti familiari, le case, parenti anziani che non andavano a trovarli. Mi auguro che questo valore aggiunto rimanga, in forme che garantiscono la sicurezza.
Di negativo cosa c’è?
Il carcere è diventato un luogo sordo e vuoto. La presenza di figure del volontariato o istituzionali, come gli insegnanti, è ridotta al lumicino. Le strutture sono tornate a essere molto chiuse. Se questa situazione si perpetuasse farebbe perdere quella positiva permeabilità verso l’esterno di un luogo che è comunque un’istituzione totale.
I numeri cosa dicono?
Il minimo di presenze è stato toccato a metà aprile: 52.792 (dalle 61mila pre-epidemia). Al momento sono 53.565. Sono troppe. Se dovessero servire spazi per il distanziamento un carcere che a fronte di 51mila posti disponibili ha quasi 54mila presenze è troppo fitto. Più di 3mila persone sono dentro per una pena inferiore a due anni. Mi domando perché e la risposta è che il territorio esterno non ha saputo dare altre risposte. Il rischio è che tutta la conflittualità di un corpo sociale complesso come il nostro sia pensata come una questione da nascondere oltre il muro. Se guardiamo i residui di pena, 6.875 detenuti devono scontare un anno o meno. Bisognerebbe ragionare su come favorirne il reinserimento sociale con altri strumenti. Va aggiunto un altro elemento negativo: 42 suicidi dietro le sbarre, 10 in più dello scorso anno nello stesso periodo.
Nei disordini sono morte 13 persone. A che punto è l’accertamento delle cause?
Gli accertamenti sono di natura diversa. Alcuni detenuti hanno perso la vita nel luogo della rivolta, come a Modena e Rieti. Ci siamo presentati nel procedimento come persona offesa e abbiamo potuto nominare sia avvocato che perito di parte. Abbiamo scelto Cristina Cattaneo, un medico legale ben noto per aver lavorato all’identificazione dei corpi di chi è affogato nel canale di Sicilia. Sta esaminando gli ultimi esami tossicologici. La situazione è sostanzialmente quella di persone che hanno avuto improvvisamente accesso a grandi quantità di sostanze negli assalti alle infermerie. C’è poi un’altra questione: alcuni dei 13 non sono morti in sede ma poco dopo l’arrivo in ospedale. Va appurato se dopo aver ingerito quelle sostanze erano in grado di sostenere il viaggio oppure dovevano essere ospedalizzate nel luogo. Le procure stanno indagando.
Il Garante ha seguito da vicino la vicenda che ha portato al sequestro della caserma Levante di Piacenza e all’arresto con accuse gravissime di sette carabinieri. Quali indicazioni vengono fuori?
Ci siamo focalizzati su tre parole chiave che riteniamo pericolose sulla formazione delle forze di polizia. Primo: produttività. L’idea che più operazioni fai e più vai avanti con la carriera è devastante a livello culturale e determina deviazioni. Secondo: inimicizia. C’è il rischio che l’obiettivo dell’azione non sia fermare il crimine e arrestare l’autore ma annientare un soggetto percepito come contrapposto. Terzo: impunità. Un errato spirito di corpo può portare a rinchiudersi, a ritenere chi indaga come ostile. Ne abbiamo parlato con i massimi responsabili dei corpi di polizia perché non tutto si risolve con l’azione penale, dobbiamo capire come nascono alcune dinamiche e fare attenzione a queste parole nella formazione iniziale degli agenti e in quella in itinere.
Cosa vuole dire al governo rispetto alle Rsa?
Le Rsa sono luoghi in cui in una condizione normale il garante deve selezionare le persone da tutelare. Su 100, in genere 30/40 hanno parenti che vedono frequentemente, altrettante hanno visite fluttuanti e le altre solo un tutore legale che non viene mai. Con la chiusura imposta dal covid tutte le persone devono essere tutelate dall’istituzione esterna di garanzia perché sono private della libertà personale non de iure, ma de facto. Il punto adesso è capire come si riprendono le visite e le uscite in sicurezza. Questo non può significare vedere ogni tanto i propri parenti al di là del vetro. Abbiamo scritto a presidenti delle regioni, comitato tecnico scientifico e vogliamo interloquire a livello alto con il governo per capire come si supera la situazione di emergenza. Si dice «convivere con il virus», ma cosa significa in una Rsa? O in una residenza per disabili?
I 353 naufraghi salvati da Sea-Watch sono stati trasbordati sulla nave quarantena Allegra. Alcuni erano a bordo da 11 giorni. I 18 messi al sicuro dal cargo commerciale Asso Ventinove sono scesi invece a Pozzallo due giorni dopo il salvataggio. Cosa raccontano queste due storie?
La tendenza ad affrontare tutto come un terremoto improvviso, laddove il fenomeno migratorio è qualcosa di stabile e destinato a durare. Quest’anno in Italia sono sbarcate 18.742 persone. A fine agosto 1.248 erano negli hotspot, 60mila nei centri di accoglienza e 23mila nei cosiddetti Siproimi (ex Sprar). Le presenze nei centri sono troppo alte e questo dipende dall’errore di fondo del dl sicurezza di Salvini che ha privilegiato le grandi strutture distruggendo gli Sprar. Sono contento che la ministra Lamorgese dica che sia pronta la revisione ma chiedo che sia messa all’ordine del giorno del consiglio dei ministri. Questo nuovo rinvio a dopo il voto regionale non tiene conto che in situazioni come questa di panico da contagio i grandi ammassamenti influiscono negativamente sull’opinione pubblica.
Delle navi quarantena cosa pensa?
Se sono stabili, cioè attraccate in porto, sono preferibili a hotspot sovraffollati come quello di Lampedusa. Certo può essere solo un modello emergenziale. Quello che mi preme in ogni caso è che tutte le persone siano portate in un place of safety il prima possibile.
Intanto sono ripresi i rimpatri forzati.
A livello europeo i rimpatri di Frontex sono andati avanti (138 operazioni quest’anno, anche a marzo e aprile), mentre in Italia sono ricominciati il 4 agosto. Prima con un charter diretto in Georgia e poi uno in Albania. Tutti gli altri sono stati per la Tunisia, con cui abbiamo un nuovo accordo che prevede due voli settimanali da 40 persone. Dalla ripresa sono state rimpatriate forzatamente 398 persone. Più 28 a livello individuale. Intanto nei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) il numero dei trattenuti è risalito, anche se resta abbastanza limitato. Siamo intorno alle 300 presenze, con oscillazioni tra 350 e 289 che dipendono proprio dai rimpatri effettuati.
Il Cpr di Gradisca d’Isonzo ha riaperto a dicembre scorso. Nei primi otto mesi sono già morte due persone. Facciamo i loro nomi: Vakhtang Enukidze e Orgest Turia. Cosa sappiamo?
Enukidze è morto il 28 gennaio. Due giorni prima sarebbe dovuto essere rimpatriato volontariamente. Ci siamo presentati come persona offesa e abbiamo nominato avvocato e medico legale. L’autopsia è stata consegnata alla procura che deve trarre ancora le deduzioni. Ma non sembrerebbero esserci elementi che inducano a ritenere le botte come causa della morte.
Però ancora oggi non ci sono i risultati istologici e tossicologici.
Sì, è vero. E poi c’è un altro dato oggettivo: ci sono fotografie in cui si vede Enukidze con un occhio gonfio. Questo va spiegato anche quando non è la causa della morte.
E Turia?
La sua morte risale al 14 luglio. Siamo molto più indietro. I periti nominati dal pm prendono circa 60 giorni per i primi risultati.
FONTE: WWW.ILMANIFESTO.IT