È sulla giustizia che l’Italia si gioca tutti i soldi del Recovery. E giustizia vuol dire essenzialmente una cosa: riformare i processi per farli durare di meno. In palio ci sono quasi 200 miliardi di fondi europei. È un avvertimento in piena regola quello lanciato da Marta Cartabia ai parlamentari che fanno parte della commissione giustizia. Nei giorni in cui Matteo Salvini annuncia di voler raccogliere le firme con i radicali per un referendum che tra le altre cose abolisca la legge Severino – perché, sostiene il leader della Lega, “con Pd e 5 Stelle non farà mai una riforma della Giustizia” – la guardasigilli ha deciso di mettere pressione alla maggioranza che sostiene il governo di Mario Draghi.
“Il governo si gioca tutto il Recovery” –Un incontro interlocutorio visto che la ministra ha spiegato come oggi il suo compito fosse “prevalentemente di ascoltare”. Solo dopo, nei prossimi giorni, saranno messe a punto le proposte di emendamento. Ai componenti e ai capigruppo delle commissioni, però, Cartabia ha indirizzato parole nette: “Sulla durata dei processi il governo si gioca tutto il Recovery“, ha detto. Puntualizzando subito dopo: “Non solo solo i 2,7 miliardi del Pnrr destinati alla giustizia, ma i 191 miliardi destinati a tutta la rinascita economica e sociale italiana”. Quindi, nonostante la giustizia sia uno degli argomenti più divisivi della vasta maggioranza che sostiene l’ex presidente della Bce, le riforme vanno fatte. E in tempi brevi, pena la perdita dei miliardi di Bruxelles.
“In 5 anni ridurre del 40% giudizi civili, del 25 quelli penali”- “La Commissione europea – ha ricordato Cartabia – ha imposto al governo italiano alcune condizioni per ottenere i fondi del NextGeneration Eu. Per quanto riguarda la giustizia gli obiettivi sono chiari: in cinque anni dobbiamo ridurre del 40% i tempi dei giudizi civili e del 25% dei giudizi penali. Sono obiettivi davvero ambiziosi”. Talmente ambiziosi che la ministra ha lanciato un avvertimento alle forze di maggioranza: “Chi si sottrae al cambiamento si dovrà assumere la responsabilità di mancare una occasione così decisiva per tutti. L’impresa è titanica. Nessuno ce la può fare senza il contributo, l’impegno, l’entusiasmo, la disponibilità di tutti, tanto a livello politico e che giudiziario. Ma dobbiamo farcela”, è l’avvertimento della ministra. “Se opporremo resistenze ai cambiamenti – ha ribadito – mancheremo gli obiettivi che la Commissione ci richiede quanto alla durata dei processi, e quindi l’Italia dovrà restituire quella imponente cifra che l’Europa sta per immettere nella vita economica e sociale del paese”. E ancora: “Non possiamo guardarci come avversari. Ci confronteremo, ma l’obietivo è un’impresa corale, richiede la condivisione di tutti. Siamo compagni di strada e dobbiamo farcela, avendo negli occhi le nuove generazioni”.
“Prescrizione frustra la domanda di giustizia” – Insomma, la ministra ha messo con le spalle al muro gli esponenti della maggioranza, ricordando che entro la fine del 2021 devono essere approvate le leggi di delegazione per la riforma del processo civile, penale e del Csm. E si dovrà decidere cosa fare della riforma di Alfonso Bonafede che la blocca la prescrizione dopo la sentenza del primo grado: il centrodestra vorrebbe cancellarla, ma la ministra ha spiegato nettamente quale è il suo punto di visto sulla questione. “È l’eccessivo numero di processi che si concludono con la prescrizione, più volte rimproverataci da molti organi internazionali di monitoraggio una delle disfunzioni dei giudizi troppo lunghi”, ha ricordato ai parlamentari. “Con la prescrizione – ha aggiunto la domanda di giustizia da parte delle vittime rimane frustrata. Con la prescrizione dovuta a processi eccessivamente protratti nel tempo, lo Stato manca al suo compito di assicurare l’amministrazione della giustizia”. Insomma: la riforma Bonafede potrebbe essere leggermente modificata – come volevano fare già lo scorso anno Pd e M5s – ma di sicuro non sarà cancellata come vorrebbero Lega, Forza Italia e renziani.
Le proposte per velocizzare i processi – Proprio per velocizzare i processi la commissione ministeriale ha avanzato alcune proposte: il divieto di appello del pm per le sentenze di assoluzione né quelle di condanna, l’appello dell’imputato che si può fare solo con motivi specificamente previsti dal codice. E poi l’appello rito camerale e solo su richiesta la trattazione orale. Un’altra proposta prevede che ci sia un controllo del Gip su eventuali inerzie del Pm a decidere su archiviazione o giudizio. Tra le proposte avanzate dalla commissione, spiegano sempre fonti parlamentari, figurano la riduzione delle proroghe indagini per gli inquirenti a una soltanto (ma con un ampliamento del tempo base per alcuni delitti specifici) e la previsione dell’udienza preliminare solo per reati di Corte Assise o Tribunale Collegiale. Per i casi di competenza del giudice monocratico ci sarà un “filtro” di un giudice che verificherà se è giustificato il dibattimento. Il Parlamento, si apprende, darà indicazione sulle priorità sulle quali i singoli uffici si regoleranno. E ancora: nel caso in cui l’imputato di un procedimento sia irreperibile, va bloccato con una sentenza inappellabile di non doversi procedere, revocabile nel caso di successivo rintraccio dell’imputato. Tra le ipotesi anche l’ampliamento della possibilità di rimedi successivi a favore dell’imputato e del condannato giudicato in assenza senza avere avuto effettiva conoscenza della celebrazione del processo. Infine, la commissione propone che la richiesta di archiviazione ci sia quando gli elementi raccolti non sono tali da determinare la condanna.
Incentivi ai riti alternativi – Un altro modo per accelerare i processi è quello di alleggerire il carico di lavoro per gli uffici giudiziari, favorendo il ricorso ai riti alternativi. Per incentivare il patteggiamento, specie quello allargato, la Commissione ipotizza la possibilità di sostituire la pena detentiva fino a 4 anni con una misura alternativa alla detenzione, applicata dal giudice di cognizione a titolo di sanzione sostitutiva. Si potrà così patteggiare la detenzione domiciliare, ad esempio, senza attendere l’eventuale concessione della misura nel giudizio d’esecuzione. Si patteggerà cioè con la certezza di evitare l’ingresso in carcere.
Fonte: ilfattoquotidiano.it
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