L. 8 agosto 2024, n. 112, recante «Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia». Si tratta di un testo che contiene diverse disposizioni normative, in materia di giustizia penale e civile, che esulano anche dal penitenziario e che, pertanto, non verranno esaminate qui di seguito. È tristemente noto come il sistema penitenziario italiano stia attraversando da tempo una crisi strutturale che ha portato il legislatore a tentare, nel corso degli ultimi anni, svariate riforme, con interventi più che altro emergenziali e con esiti parziali, piuttosto che di carattere organico. Le ultime modifiche si inseriscono all’interno della drammatica emergenza del sovraffollamento e dei suicidi, che ad oggi sono stati ben 68 dall’inizio dell’anno. In questo clima generale è evidente come il decreto-legge in questione fosse fortemente atteso; tuttavia, si tratta di un intervento normativo che risponde solo ad alcune necessità ma che non sembra incidere in modo reale e significativo sulla grave situazione che caratterizza il sistema penitenziario. Il Capo I del decreto-legge si occupa del personale penitenziario, prevedendo l’assunzione straordinaria di un contingente massimo di mille unità di agenti del Corpo di Polizia penitenziaria (art. 1) e un aumento di venti unità della dotazione organica del personale dirigenziale penitenziario (art. 2). Si tratta di disposizioni normative che fanno ben sperare, dal momento che sono note le scoperture di personale di Polizia penitenziaria e le difficoltà che gli agenti sono costretti ad affrontare a causa di turni di lavoro estenuanti, in situazioni di sovraffollamento e di condizioni di degrado. Nulla si prevede, però, con riferimento ad altre figure professionali, come gli operatori giuridico-pedagogici, gli psicologi e i mediatori culturali. Il Capo II del decreto-legge si apre con la previsione della nomina di un commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, per far fronte alla grave situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani (art. 4-bis). Il commissario straordinario, sentiti il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e il capo del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia, potrà compiere tutti gli atti necessari per la realizzazione di nuove infrastrutture penitenziarie nonché gli interventi di manutenzione straordinaria, di ristrutturazione, di completamento e di ampliamento delle strutture già esistenti. Oltre a queste prime disposizioni che interessano l’apparato di persone che lavorano nel mondo del penitenziario, è necessario soffermarsi con maggiore attenzione sugli interventi in materia di liberazione anticipata, contenuti nell’art. 5 del decreto-legge. Tuttavia, nonostante fosse invocata da tempo una riforma in materia, il legislatore ha solamente modificato le modalità e le tempistiche per l’ottenimento del beneficio, al fine di semplificarle e di renderle maggiormente chiare nei confronti dei destinatari. L’art. 656 c.p.p. è stato modificato con l’inserimento di tre nuovi commi. In primo luogo, prima di emettere l’ordine di esecuzione e previa verifica dell’esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, il pubblico ministero deve trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza affinché disponga con ordinanza in via provvisoria la detenzione domiciliare per il condannato di età pari o superiore a settanta anni se la pena che rimane da espiare è compresa tra due e quattro anni di reclusione, fino alla decisione del tribunale di sorveglianza (comma 9-bis). Analogamente, prima di emettere l’ordine di esecuzione, il pubblico ministero deve trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza affinché disponga con ordinanza in via provvisoria la detenzione domiciliare se il condannato si trova agli arresti domiciliari per gravissimi motivi di salute, fino alla decisione del tribunale di sorveglianza (comma 9-ter). Inoltre, nell’ordine di esecuzione la pena da espiare è indicata computando le detrazioni previste per la concessione della liberazione anticipata, in modo tale che siano specificamente indicate le detrazioni e sia evidenziata anche la pena da espiare senza le detrazioni (comma 10-bis). Ciò che appare più evidente è il passaggio da un regime di concessione della liberazione anticipata a istanza di parte a una concessione ex officio da parte del magistrato di sorveglianza o a seguito del deposito di un’istanza di misura alternativa o di altri benefici penitenziari o in prossimità del fine pena. Solo in questi due momenti il magistrato di sorveglianza dovrà valutare se nei semestri maturati l’interessato abbia partecipato all’opera di rieducazione, accogliendo o rigettando la richiesta in relazione a uno o più semestri, sempre salvo il reclamo al tribunale di sorveglianza. Residua, dunque, una possibilità di chiedere la valutazione al magistrato di sorveglianza anche a prescindere dai due momenti sopraindicati, ma con l’obbligo di illustrare chiaramente l’interesse a ottenere la liberazione anticipata, a pena di inammissibilità. Tanto nel caso di valutazione ex officio quanto in quella collegata al fine pena, è previsto che novanta giorni prima del momento in cui matura la quota di pena o la data del fine pena si incardini la procedura davanti al magistrato di sorveglianza per la valutazione della liberazione anticipata. In materia di procedimento è modificato l’art. 69-bis Ordinamento Penitenziario. Si prevede che, in occasione di ogni istanza di accesso alle misure alternative alla detenzione o ad altri benefici, il magistrato di sorveglianza debba accertare la sussistenza dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata in relazione ad ogni semestre precedente. Questa istanza può essere presentata a decorrere dal termine di novanta giorni prima del maturare dei presupposti per l’accesso alle misure alternative. Inoltre, nel termine di novanta giorni antecedente al maturare del termine di conclusione della pena da espiare il magistrato di sorveglianza deve accertare la sussistenza dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata in relazione ai semestri che non siano già stati oggetto di valutazione. Inoltre, è previsto che il condannato possa formulare istanza di liberazione anticipata quando vi abbia uno specifico interesse, che deve essere indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza. Per quanto riguarda, invece, la forma della decisione e l’impugnabilità della stessa, i commi 4 e 5 dell’art. 69-bis Ord. pen. prevedono modalità già conosciute: il magistrato decide con ordinanza in camera di consiglio e senza l’intervento delle parti, l’ordinanza è comunicata al detenuto, al difensore e al pubblico ministero e costoro possono proporre reclamo entro 10 giorni al tribunale di sorveglianza, che decide nelle forme indicate nell’art. 678 c.p.p. Per la decisione del magistrato di sorveglianza non è più previsto il parere del pubblico ministero, non essendo stato riproposto nel nuovo art. 69-bis Ord. pen. il comma 2, che era, invece, presente nella precedente formulazione. Tali semplificazioni a livello procedurale rappresentano sicuramente un segnale positivo, ma con questo nuovo sistema non si può in ogni caso escludere il prodursi di un effetto cumulo, con la concreta possibilità che si presentino ritardi nelle decisioni, nei casi in cui siano molti i semestri da valutare. Al netto di questo, è evidente come si tratti di interventi che non sembrano avere la capacità di incidere sulla drammatica situazione di sovraffollamento, condizione che costituisce certamente uno dei principali ostacoli al raggiungimento dell’obiettivo di assicurare l’umanizzazione della pena e all’offerta di effettive possibilità di rieducazione. Infatti, l’insieme di modifiche introdotte in materia di liberazione anticipata è carico di criticità, trattandosi, peraltro, di uno strumento cruciale per lo sviluppo di percorsi trattamentali orientati alla risocializzazione. Il decreto-legge prevede, inoltre, modifiche al regolamento di esecuzione (D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230) per uniformare i profili procedimentali, indicando un onere a carico delle direzioni degli istituti penitenziari di comunicare agli uffici di sorveglianza gli elementi necessari alla valutazione. L’art. 6 del decreto-legge riporta gli interventi in materia di corrispondenza telefonica dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario. Entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge va modificato il regolamento di esecuzione, così da garantire la prosecuzione dei rapporti personali e familiari dei detenuti. In particolare, all’art. 39 del regolamento, in materia di conversazioni telefoniche, viene incrementato il numero dei colloqui telefonici settimanali e mensili, equiparando la relativa disciplina a quella di cui all’art. 37, in materia di colloqui visivi. Pertanto, si passa dai quattro colloqui al mese (due nel caso di detenuti per uno dei delitti previsti dall’art. 4-bis, comma 1, primo periodo Ord. pen.) a sei colloqui al mese (quattro nel caso di detenuti per uno dei delitti previsti dall’art. 4-bis, comma 1, primo periodo Ord. pen.). Fino all’adozione del regolamento di cui sopra, i colloqui possono essere autorizzati oltre i limiti di cui all’art. 39, comma 2 del regolamento di esecuzione. Nonostante ciò, un aumento di tal sorta del numero di colloqui telefonici non è destinato a risolversi in un sensibile mutamento nella qualità dei contatti dei detenuti con i familiari all’esterno. Il legislatore ha così perso un’altra occasione: il decreto-legge avrebbe potuto essere lo strumento adatto per incidere in maniera significativa sul tema dell’affettività dei detenuti, così da contrastare il rischio suicidario. Infatti, considerata la centralità della previsione, sarebbe stato più opportuno un intervento incisivo, che non riguardasse solo il numero dei colloqui, ma anche la relativa durata, oggi contenuta in soli dieci minuti. Con l’art. 6-bissono state introdotte alcune disposizioni in materia di dati sanitari dei detenuti, mentre l’art. 7 modifica l’art. 41-bis Ord. pen., che reca la disciplina del regime detentivo differenziato, c.d. carcere duro, prevedendo expressis verbis l’esclusione dei soggetti detenuti in queste particolari condizioni dall’accesso ai programmi di giustizia riparativa. Per il legislatore la speciale pericolosità sociale dei detenuti sottoposti a tale regime impedisce una decisione positiva da parte dell’autorità giudiziaria nel momento in cui deve valutare se vi sia un pericolo concreto per i partecipanti al programma. Si tratta, tuttavia, di una preclusione assoluta, che non è proficua in termini di rieducazione e che non consente alla magistratura di svolgere un vaglio caso per caso: questo dà origine a criticità, considerato anche il fatto che da un decreto del Ministro della giustizia si farebbero derivare delle conseguenze nel processo, conseguenze che discenderebbero dall’esito riparativo eventualmente raggiunto. L’art. 8, in materia di strutture residenziali per l’accoglienza e il reinserimento sociale delle persone detenute, dispone che venga istituito presso il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia un elenco delle strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale, al fine di semplificare la procedura di accesso alle misure penali di comunità e agevolare un più efficace reinserimento delle persone detenute adulte. Tali strutture devono garantire un’idonea accoglienza residenziale e lo svolgimento di servizi di assistenza e di riqualificazione professionale e di reinserimento socio-lavorativo dei soggetti residenti, compresi quelli con problematiche derivanti da dipendenza o disagio psichico, che non richiedono il trattamento in apposite strutture riabilitative. L’art. 10 del decreto-legge prevede una decisa, seppur circoscritta, semplificazione procedurale in materia di concessione di misure alternative alla detenzione. Si inserisce, infatti, un nuovo art. 658-bis c.p.p., in materia di misure di sicurezza da eseguire presso strutture sanitarie, per cui, nel caso in cui debba essere eseguita una misura di sicurezza di tal sorta, ordinata con sentenza, il pubblico ministero chiede senza ritardo – e comunque entro cinque giorni – al magistrato di sorveglianza la fissazione dell’udienza per procedere agli accertamenti indicati all’art. 679 c.p.p. Su richiesta del pubblico ministero il magistrato di sorveglianza provvede alla fissazione dell’udienza senza ritardo, e comunque entro cinque giorni dalla richiesta medesima. Infine, l’art. 10-bis interviene modificando l’art. 47 Ord. pen., introducendo un nuovo comma 2-bis, che dispone che il condannato, qualora non sia in grado di offrire valide occasioni di reinserimento esterno tramite attività di lavoro, autonomo o dipendente, può essere ammesso, in sostituzione, a un idoneo servizio di volontariato oppure ad attività di pubblica utilità, senza remunerazione, in quanto compatibili.
Fonte: Altalex.com – Autori: Secco, Manca