Per “ERGASTOLO OSTATIVO” si intende il particolare regime penitenziario previsto dall’art. 4 bis della Legge sull’ordinamento penitenziario ( L. 26 luglio 1975 n° 354 ) che esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari gli autori di alcuni reati previsti dallo stesso articolo.
In particolare il suddetto articolo, definito come norma contenitore, contempla nei vari commi un catalogo tassativo di delitti in base ai quali l’autore non può accedere ai benefici e nello specifico si tratta: – dei delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento democratico; – delitti contro la pubblica amministrazione; – delitto di associazione di stampo mafioso ex art. 416 bis c.p. E delitto di scambio elettorale politico-mafioso ex art. 416 ter c.p.; – delitti commessi contro la libertà sessuale; – delitti commessi contro minori ( prostituzione minorile e pornografia minorile ); – delitto di rapina aggravata; – delitto di estorsione aggravata; – delitto di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope limitatamente all’ipotesi aggravata ai sensi dell’art. 80, comma 2, D.P.R. 309/1990.
Tali ipotesi di reati vengono distinti in varie fasce, in quanto: – ai commi 1 e 1 bis sono elencati i reati di prima fascia in quanto considerati di maggiore gravità; – al comma 1 ter vi sono ipotesi delittuose rientranti nella seconda fascia in quanto caratterizzati da minore gravità e non necessariamente riferibili alla criminalità organizzata; – al comma 1 quater vi sono elencati i reati a sfondo sessuale.
Sussiste nelle varie ipotesi una presunzione legale assoluta di pericolosità sociale, fondata esclusivamente sul titolo di reato commesso anche se per le varie fasce sussiste una disciplina diversa volta a vincere tale presunzione e quindi a consentire l’accesso ai benefici penitenziari.
Infatti, per i condannati per i delitti contemplati nella prima fascia la condicio sine qua non ai fini dell’accesso ai benefici è quella relativa alla collaborazione con la giustizia, purché non sia irrilevante o impossibile, in quanto tale collaborazione è l’unica prova di rescissione del legame con il sodalizio criminale.
Mentre è disposto per i delitti rientranti nella seconda fascia l’acquisizione di elementi utili al fine di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità per quanto concerne, invece, i delitti rientranti nella seconda fascia.
Per quanto riguarda i delitti a sfondo sessuale se commessi in danno di persona minorenne, contemplati dal comma 1 quater dell’art. 4 bis o.p., ai fini dell’accesso è necessario che l’autore venga sottoposto, mediante apposita richiesta, ad un percorso psicologico ex art. 13 bis o.p. della durata di un anno e al termine del quale, in caso di esito positivo, l’Autorità competente provvederà a concedergli il beneficio richiesto in base ai requisiti di legge sussistenti nel caso di specie.
POSIZIONE ASSUNTA DALLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
La Corte EDU, muovendo dal caso Marcello Viola c. Italia, emanò il 13/06/2019 sentenza sul tema dell’ergastolo ostativo.
Il caso prendeva avvio dal ricorso presentato da Marcello Viola condannato, per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. Aggravato dall’aver ricoperto il ruolo di promotore dell’associazione criminale, all’ergastolo ostativo. Dopo alcuni anni di reclusione il detenuto aveva richiesto il benefici del permesso premio e di liberazione condizionale, entrambe respinte in quanto non avendo collaborato con la giustizia. Così Viola adiva la Corte europea per violazione della disciplina dell’ergastolo ostativo degli artt. 3 e 8 CEDU.
La Corte EDU, pur affermando di riconoscere la pericolosità sociale dei reati contemplati nell’art. 4 bis o.p., dichiarava l’illegittimità dell’ergastolo ostativo per contrasto con l’art. 3 della CEDU poiché tale regime non conferiva al condannato una prospettiva di scarcerazione imminente, pertanto era necessario tutelare i principi della dignità umana e del reinserimento e della rieducazione del reo.
ORIENTAMENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Dall’introduzione dell’ergastolo ostativo, la Corte Costituzionale è stata chiamata più volte a pronunciarsi sulla conformità dell’istituto al testo costituzionale e fino al 2019 ha sempre ritenuto legittima la disciplina normativa. Infatti, si riteneva che la collaborazione con la giustizia, oltre ad essere condizione necessaria per l’accesso ai benefici penitenziari, costituiva anche un’ indice di rottura del legame sussistente tra il reo e il sodalizio criminale.
Importante svolta si è, però, avuta con la sentenza costituzionale n° 253 del 2019 in cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis, comma 1, nella parte in cui non prevedeva che i condannati all’ergastolo ostativo per i reati di cui all’art. 416 bis c.p. E per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo, ossia reati perpetrati al fine di agevolare l’attività dell’associazione criminale, non possano accedere al beneficio penitenziario dei permessi premio in mancanza di collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58 o.p., allorché siano acquisiti elementi utili ad escludere sia l’attualità di un possibile collegamento con la criminalità organizzata sia il pericolo del ripristino di tal collegamento.
Pertanto, la Corte Costituzionale sanziona il carattere assoluta della presunzione di pericolosità sociale insita nell’art. 4 bis o.p.
La Consulta è intervenuta nuovamente sul tema e il 15 aprile 2021, con comunicato stampa, ha fatto sapere di riconoscere l’illegittimità del rigetto dell’istanza di liberazione condizionale agli ergastolani condannati per associazione di stampo mafioso che non collaborano con la giustizia. Ma ha precisato che la decisione sulla questione è stata rinviata a maggio 2022 in quanto è opportuno che sia il legislatore a rimodellare il regime penitenziario nel rispetto dei principi costituzionali, garantendo comunque l’efficacia del sistema di contrasto alla criminalità organizzata.
Ricordiamo, appunto, che per la Corte l’esclusione dal beneficio è contraria agli art. 27 della Costituzione e 3 della CEDU.
ORIENTAMENTO DELLA CORTE DI CASSAZIONE (Cass. pen., Sez. I, sent. n° 33743 del 14/07/2021, depositata il 10/09/2021)
Di recente si è pronunciata la Corte di Cassazione affermando che, ai fini dell’ammissibilità della domanda di permesso premio avanzata dal detenuto non collaborante, per reati di cui all’art. 4-bis, comma 1 ord. pen., è sufficiente l’allegazione di elementi di fatto che, anche solo in chiave logica, risultino pertinenti rispetto ai temi di prova, rappresentati dalla assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e dall’assenza del pericolo di un ripristino dei medesimi e siano idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità prevista dalla legge.
Il caso muove dall’ ordinanza di inammissibilità emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna avverso il reclamo di un detenuto, condannato all’ergastolo per i delitti di omicidio e di associazione di stampo mafioso ( delitti rientranti nella cd. prima fascia dell’art. 4 bis o.p. ) e non collaborante, avverso pronuncia di inammissibilità emessa dal Magistrato di sorveglianza relativa alla richiesta di concessione di permesso premio.
In effetti il Tribunale di sorveglianza riteneva necessario che all’istanza fossero specificatamente allegate prove che consentano un concreto apprezzamento sulla insussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata, secondo anche quanto disposto dalla Corte Costituzionale con sentenza n° 253 del 2019, a nulla rilevando il comportamento inframurario tenuto dal detenuto, la concessione delle liberazioni anticipate e il periodo di detenzione sofferto ( nel caso in specie si trattava di ben 24 anni di detenzione ).
Il ricorso veniva dichiarato fondato, quindi veniva annullata l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza competente per un nuovo giudizio, dalla sez. I della Corte di Cassazione in quanto veniva riconosciuto che la decisione del Tribunale di sorveglianza di Bologna non era conforme ai contenuti descrittivi della decisione del giudice delle leggi, il quale si limitava a porre un presupposto di “specificità” dell’allegazione inteso come indicazione di elementi di fatto aventi efficacia “indicativa” anche in chiave logica e non rappresentativa, essendo sufficiente la pertinenzialità.
In particolare, si precisa che il richiedente è tenuto ad illustrare gli elementi fattuali che abbiano concreta portata “antagonista” sul piano logico rispetto al fondamento della presunzione relativa di pericolosità, ma non può essere chiamato a fornire prova negativa diretta di una con dizione razionale quale è il pericolo di ripristino dei contatti: tale pericolo, infatti, è sempre frutto di un giudizio prognostico spettante al giudice e sul quale la parte può incidere solo in modo relativo mediante la prova della sussistenza di un percorso rieducativo.
Fonte: salvisjuribus.it