REGGIO CALABRIA
«È vero che comunicavo al telefono dal carcere, ma ero molto attento a non espormi troppo per timore di un monitoraggio investigativo». Il boss Maurizio Cortese, indicato dagli investigatori come il reggente della cosca Serraino, tra le più potenti della ‘ndrangheta, ha iniziato a collaborare con la giustizia e non ha fatto mistero della sua capacità di gestire la cosca anche dal carcere. Il neo-pentito sta confermando le risultanze investigative della Dda di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri, che con l’operazione “Pedigree” aveva arrestato lui e la moglie Stefania Pitasi, figlia del boss Paolo Pitasi e ritenuta la “portavoce” del marito nei lunghi periodi di detenzione.
La notizia che Cortese aveva deciso di collaborare con la giustizia era nell’aria da giorni – nelle scorse settimane il
massmediologo Klaus Davi aveva scritto su facebook del suo possibile pentimento venendo attaccato dal
difensore del boss Amira Cannizzaro – ma adesso i suoi verbali sono stati depositati in un’udienza legata all’operazione “Pedigree”. Attraverso i colloqui con la moglie e grazie ad alcuni cellulari fatti entrare illecitamente nel carcere di Torino, Cortese riusciva a dare indicazioni agli affiliati e a gestire gli affari della cosca Serraino.
Le sue dichiarazioni, rese negli interrogatori del 15 e 23 ottobre, adesso sono al vaglio del pm Stefano Musolino che, assieme a Walter Ignazitto, Sara Amerio, Paola D’Ambrosio e Diego Capece Minutolo, ha coordinato l’inchiesta “Pedigree”. Al magistrato, Cortese ha confermato di voler saltare il fosso e ha parlato di alcuni personaggi ritenuti vicini ai Serraino: «Nino Fallaca – si legge in un verbale – no a quando ero libero, non faceva parte della cosca.
Si metteva a disposizione, nel senso che mi rivolgevo a lui per l’acquisto di materiale edile che non mi faceva
pagare, ma io non ho avuto relazioni criminali con lui. Suo fratello detto ‘il banchiere’ era invece espressione
della cosca”. Cortese ha raccontato di un episodio relativo a un danneggiamento avvenuto a Vinco nel reggino, in un
immobile di una persona di Rosarno, vicina ai Bellocco. Questi – dice il collaboratore – «si rivolsero a me. I rosarnesi mi avevano chiesto di intervenire presso Fallanca per trattare bene il proprietario: Fallanca mi fece presente che in realtà i suoi debiti erano assai inferiori e comunque si disse disponibile a rispettarlo». Il boss ha parlato anche di soggetti arrestati nel secondo troncone dell’inchiesta “Pedigree” quando è finito in manette anche il poliziotto ed ex assessore comunale di Reggio Calabria Seby Vecchio. Nel verbale non ci sono riferimenti sul politico, ma, tra un omissis e l’altro, ci sono stralci sugli altri arrestati.
Il nuovo collaboratore di giustizia è stato già condannato in via definitiva nel processo “Epilogo” e dopo un periodo
di latitanza, nel 2017 era stato catturato dalla squadra mobile e dai carabinieri. Oggi quarantenne, stando alle
indagini, Cortese era riuscito a scalare le gerarchie della cosca intrattenendo legami anche con gli esponenti delle
altre famiglie di ‘ndrangheta come i Labate detti “Ti Mangiu” e Gino Molinetti dei De Stefano-Tegano, recentemente arrestato nell’ambito dell’operazione “Malex”.