Niente domiciliari per il detenuto con disabilità e iperteso se le sue patologie non lo rendono più vulnerabile al coronavirus e sono considerate compatibili con la detenzione. Neppure la difficoltà della casa circondariale, che si era espressa a favore dei domiciliari, a fare controlli diagnostici e riabilitativi, è utile per ottenere la misura alternativa: perché in tempi di massima allerta pandemica le stesse criticità hanno riguardato tutti i cittadini, anche se in misura maggiore chi è ristretto per impedire il diffondersi del contagio in un ambiente necessariamente collettivo.
La Cassazione (sentenza 29378) ha respinto il ricorso di un detenuto, sottoposto al carcere preventivo perché indagato per reati di narcotraffico internazionale a favore di una cosca mafiosa. La difesa ha inutilmente invocato la nota del Procuratore generale della Corte di cassazione del 1 aprile 2020, con la quale si raccomandava di ridurre la presenza nelle carceri durante il coronavirus. Nè è servito il parere favorevole ai domiciliari della direzione sanitaria del carcere. Per i giudici del riesame, come per la Suprema corte, né la disabilità che costringeva il ricorrente ad avvalersi dell’aiuto di un piantone per svolgere le sue funzioni quotidiane, né le altre patologie, come l’ipertensione, che rendevano certamente più gravoso il carcere, sono sufficienti a fondare la situazione di incompatibilità con il carcere.