“Non risultano essere state adottate da parte dei Direttori che autorizzano le uscite e le attività dei detenuti, concrete ed efficaci misure per la prevenzione dei contagi”, perché “i detenuti all’atto dell’uscita dalle celle non vengono sottoposti al controllo della temperatura che, se superiore a 37,5 dovrebbe interdire l’accesso a vari settori: matricola, infermeria, passeggi…, ma soprattutto non indossano la mascherina a differenza degli operatori e del personale di Polizia Penitenziaria”. E’ uno dei passaggi di una lettera rivolta al ministro della Giustizia dall’OSAPP (organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria) sull’emergenza Covid nelle carceri e sui rischi di contagio legati agli spostamenti dei detenuti dentro gli istituti ma anche fuori, quando “vengono autorizzati a recarsi nei tribunali o negli ospedali”. “Paradossalmente, operatori e personale di Polizia penitenziaria prima di accedere in istituto – scrive il Segretario Generale Leo Beneduci – vengono sottoposti alla rilevazione della febbre per poi essere immessi in un contesto lavorativo, che in questo momento non risulterebbe adeguatamente monitorato e presidiato (supportato da dispositivi di protezione individuale nella popolazione detenuta) e, quindi al cui interno potrebbero contrarre il virus spostandosi nelle varie articolazioni”. Fonte: ANSA
AGI – “I detenuti, all’atto dell’uscita dalle celle non vengono sottoposti al controllo della temperatura che, se superiore a 37,5 dovrebbe interdire l’accesso a vari settori”, quali “matricola, infermeria, passeggi”, e “soprattutto non indossano la mascherina a differenza degli operatori e del personale di Polizia penitenziaria”. La denuncia viene dal sindacato di Polizia penitenziaria OSAPP, che, in un documento firmato dal segretario generale Leo Beneduci e indirizzato al Guardasigilli Alfonso Bonafede e al capo del Dap Bernardo Petralia, sottolinea che “paradossalmente, operatori e personale di Polizia penitenziaria prima di accedere in istituto vengono sottoposti a tale rilevazione, per poi essere immessi in un contesto lavorativo, che in questo momento non risulterebbe adeguatamente monitorato e presidiato (supportato da dispositivi di protezione individuale nella popolazione detenuta) e, quindi al cui interno potrebbero contrarre il virus spostandosi nelle varie articolazioni”. Inoltre, scrive ancora Beneduci, “un detenuto ristretto in un carcere in cui vi sono soggetti positivi con i quali non sa se ha avuto contatti diretti o per interposta persona (ad esempio l’agente di sezione, il detenuto portavitto) può essere tradotto in tribunale, previa misurazione della temperatura in prossimità dell’uscita, ed eventualmente veicolare il virus. Viceversa, un professionista (ad esempio avvocato) prima di accedere in istituto o in udienza deve autocertificare di non aver avuto contatti con persone affette da Covid19”.
Fonte: AGI