I film americani ci hanno abituati sin da piccoli alla scarcerazione di un arrestato su cauzione. Diciamo subito che questo istituto esiste solamente negli USA e nelle Isole Filippine. In Italia, dove il ricorso eccessivo alla carcerazione preventiva è un problema mai risolto, quando si viene arrestati non si esce dal carcere sulla base di alcun versamento di denaro. Premesso ciò, come funziona negli States?
Qui, quando si finisce in manette, il giudice fissa una cauzione per consentire all’imputato di attendere il processo in libertà. La somma è rapportata alla gravità del reato e al patrimonio dell’arrestato. Si va da qualche centinaio di dollari (si pensi alla guida in stato di ebbrezza) a decine di milioni di dollari, come nel caso di accusa per omicidio a carico di una persona molto ricca. La cauzione viene restituita nel caso in cui l’imputato si presenti in tribunale per l’udienza, nel caso contrario viene trattenuta.
In un certo senso, il versamento riduce il rischio di fuga per chi viene arrestato. La legislazione varia di stato in stato, ma emerge che il giudice può non riconoscere la scarcerazione dietro cauzione per le accuse di reato molto gravi o quando sussiste un elevato pericolo di fuga.
Questo sistema evita il sovraffollamento delle carceri americane da un lato, dall’altro i detrattori sostengono che sia discriminatorio verso la parte della popolazione più povera. Chi non ha soldi per pagare la cauzione resta in carcere e poiché la data del processo può essere fissata anche dopo diversi mesi, significa privare della libertà una persona per un periodo anche non breve della sua esistenza. E poiché le fasce di povertà si concentrano tra le minoranze, di fatto alcuni sostengono che la cauzione colpisca particolarmente neri e ispanici.
L’industria della cauzione a sostegno dei più poveri
Ma il funzionamento della cauzione è più complesso. Se non si possiede il denaro necessario per il pagamento e non si ha neppure qualche familiare o amico che possa fare una mano, ci si può rivolgere a un cosiddetto “garante della cauzione”. Si tratta di società, che si occupano di versare l’importo al posto dell’imputato e chiaramente pretendono in cambio il pagamento di un certo tasso d’interesse. I tassi possono arrivare al 30%, a seconda del grado di rischio di fuga. Molti sono costretti a pagare le rate per un lungo periodo dopo la fine del processo. Addirittura, per evitare che l’arrestato se la dia a gambe e non si presenti al processo, le società assumono i cosiddetti “cacciatori di taglie” o “bounty hunters”, con l’obiettivo di trovare il soggetto finanziato.
Chi non può permettersi un garante della cauzione può ottenere lo stesso il pagamento, ma a quel punto la società pretenderà dall’imputato il pagamento del 10% senza restituzione e spesso anche la garanzia reale di un immobile o un’auto. La commissione viene ripartita tra società e agente (“bail agent”), con quest’ultimo a fare da tramite tra i due, un po’ come nel caso di una Rc auto in Italia.
Secondo Reuters, le società attive in questo business hanno speso 17 milioni di dollari per fare lobbying contro i tentativi in vari stati (California, Texas, Florida, Colorado, etc.) di alcune associazioni di riformare il sistema, finanche abolendo l’istituto della cauzione. E non si fa difficoltà a capire perché. Il giro d’affari è stimato in 15 miliardi all’anno e l’utile lordo è generalmente altissimo, dato che sono in pochi a fuggire e i costi risultano contenuti. E solamente sei società posseggono il 76% del mercato americano.
Lo scontro con gli stati liberal
L’industria sta aumentando da tempo la pubblicità sui social, specie su Facebook, per spiegare come l’istituto della cauzione non solo non crei alcuna discriminazione a discapito di poveri e minoranze, ma anzi conterrebbe la criminalità e aumenterebbe la sicurezza nelle strade.
Di recente, i suoi attacchi si sono concentrati all’indirizzo dello stato di New York, dove il governatore Andrew Cuomo nel gennaio 2020 fece approvare una legge, in base alla quale la scarcerazione scatta automaticamente per i reati minori. Il sostegno pubblico all’iniziativa fu alto in un primo momento, ma forse anche a seguito della pubblicità contraria dei lobbisti starebbe scemando.
Caso emblematico anche la California, dove una legge del 2018 consentiva la scarcerazione per i reati minori, assegnando al giudice anche l’opportunità di valutare l’effettivo rischio di fuga dell’imputato con l’ausilio di un algoritmo. Un referendum tenutosi il 3 novembre scorso, lo stesso giorno delle elezioni presidenziali e per il rinnovo del Congresso, bocciò la legge con il 56,4%. La “American Bail Coalition” ha potuto così festeggiare un’altra sua importante vittoria dopo avere speso più di 7 milioni per convincere i cittadini degli effetti negativi della proposta dello stato.
Fonte: giuseppe.timpone@investireoggi.it