Elena Amelina, prigioniera politica in Bielorussia, ha contratto il covid in carcere. Non è stata isolata dagli altri detenuti ed è morta dopo un ricovero in ospedale quando era ormai troppo tardi, senza avere ricevuto alcuna cura mentre era in cella. A raccontarlo, in un evento online tenutosi il 26 novembre, Tatsiana Khomich, sorella della musicista Maria Kolesnikova, una delle donne simbolo dell’opposizione bielorussa insieme alla candidata presidente (esiliata in Lituania) Svetlana Tikhanovskaya. Kolesnikova, nel 2021, ha vinto il Premio Havel dell’Unione Europea e sta scontando una condanna ad undici anni di reclusione. Le forze dell’ordine l’avevano ‘accompagnata’ alla frontiera con l’Ucraina tentando di costringerla ad attraversare il confine, ma lei si è ribellata strappando il suo passaporto. A quel punto è stata messa in carcere.
Quello di Elena, malata di covid, è solo uno dei casi emblematici della repressione politica e pubblica perpetrata dal despota di Minsk, Aleksandr Lukashenko, impegnato in una guerra contro il suo popolo dopo le contestate elezioni presidenziali dell’agosto 2020 con cui si è riassicurato il mantenimento del potere. Per il 27 novembre è stata proclamata la giornata di solidarietà ai detenuti politici bielorussi, con eventi e flash mob ovunque. A Torino, l’associazione Aglietta ha organizzato una passeggiata a piedi nudi tra il consolato polacco e quello bielorusso, per ricordare il disperato cammino dei migranti (circa quattromila) fatti arrivare a Minsk con voli da Iraq, Siria e Dubai, spesso via Istanbul, con un regime semplificato di ‘visti turistici’, e poi fatti ammassare al confine polacco per ricattare l’Unione Europea. Una crisi che ha già provocato la morte di una bambina di un anno, anche per il rifiuto categorico della Polonia di accogliere queste persone.
Se di Bielorussia, in queste settimane, si parla soprattutto per i migranti, la giornata di solidarietà ai detenuti politici serve proprio a non dimenticare la repressione interna, ancora in atto, che si traduce in rastrellamenti nelle case alla ricerca di simboli ‘terroristici’ (come l’esibizione del bianco e del rosso, bandiera bielorussa dopo la dissoluzione dell’Urss e prima che Lukashenko la cambiasse), ma anche nella chiusura di canali Telegram e redazioni giornalistiche considerate pericolose per il regime. L’attacco alla libertà politica e di stampa non è mai cessato e, a ricordarcelo, nelle carceri del Paese si trovano 887 prigionieri politici, in continuo aumento.
All’incontro del 26 novembre, organizzato dall’associazione Supolka con Ekaterina Ziuziuk e dalla Federazione Italiana Diritti Umani con Eleonora Mongelli, Tatsiana Khomich ha testimoniato sia l’esperienza della sorella, Maria Kolesnikova, sia in generale dei prigionieri per motivi politici. Al 30 luglio 2021 erano aperti cinquemila procedimenti penali in relazione alle proteste nel Paese. Nel mese di ottobre sono stati effettuati almeno centoquaranta arresti. I perseguitati non sono tutti attivisti: ci sono tantissime persone comuni, tra cui artisti, professionisti, studenti, operai, manager, diversi minorenni e pensionati, oltre naturalmente ai giornalisti dei media non di regime. Non è stata risparmiata nemmeno il Premio Nobel Svitlana Aleksevich, costretta alla fuga in Germania.
“In ottobre – ha detto Tatsiana Khomich – si è avviato il processo con cui diversi canali Telegram e pagine di social network di mass media indipendenti molto popolari saranno dichiarate formazioni estremiste. Sono considerate estremiste anche le chat di vicinato, nelle quali i vicini si scambiano i messaggi. Le persone sono perseguite per l’inoltro o la ripubblicazione o il like di notizie di questi canali, azioni considerate propaganda dell’estremismo, e sono perseguitate penalmente. Recentemente, una coppia sposata ha trascorso più di cento giorni in custodia cautelare in carcere per aver inoltrato i messaggi da un canale considerato estremista l’uno all’altro”.
“Di recente – ha proseguito la sorella di Maria Kolesnikova – l’autorità giudiziaria usa spesso gli articoli del codice penale che riguardano la ‘diffamazione del presidente’, ‘l’insulto a funzionari governativi’ così come a giudici, procuratori, agenti di polizia. Le pene previste per tali articoli possono arrivare fino a tre anni di reclusione in una colonia penale o prigione”.
Le condizioni dei detenuti politici sono pessime, come si è già detto nel caso di Elena Amelina, malata di covid. In generale le celle sono sovraffollate (anche quelle ‘di isolamento’), i detenuti non ricevono cure mediche, viene loro di fatto negato il diritto alla corrispondenza e al colloquio con gli avvocati. “I prigionieri politici – ha aggiunto Tatsiana Khomich – hanno limitazioni negli incontri con gli avvocati. Inoltre è diventata una pratica comune per gli avvocati essere vincolati da un impegno di non divulgazione. Gli avvocati che commentano ai media i casi seguiti sono stati privati della licenza. I processi sono spesso tenuti a porte chiuse, il che significa che né i parenti né i media né gli osservatori indipendenti possono assistere alle udienze. E significa che le accuse specifiche non sono note al pubblico”.
Quanto agli incontri con gli avvocati, spesso si solgono in stanze nelle quali il legale e il detenuto sono separati da un divisorio cieco, e non è possibile scambiarsi documenti. “Gli incontri con i parenti – ha raccontato Tatsiana Khomich – praticamente non esistono, e ci sono grossi problemi con la ricezione delle lettere”. Inoltre il lavoro in carcere è obbligatorio.
Condannata a undici anni di reclusione dopo che le forze dell’ordine bielorusse l’avevano rapita il 7 settembre 2020 e ‘accompagnata’ alla frontiera con l’Ucraina (ma lei, strappando il passaporto, ha reso impossibile l’espatrio obbligato), la flautista e direttrice d’orchestra Maria Kolesnikova si trova in carcere a Minsk in regime speciale, in attesa che, il 24 dicembre, venga esaminato il suo ricorso. “Mia sorella – ha detto Tatsiana Khomich – può vedere gli avvocati in quello che lei chiama ‘l’ufficio speciale’, la stanza con il divisorio cieco. Può fare una doccia alla settimana. In un anno ha visto nostro padre tre volte per un’ora. Raramente le consegnano le lettere e può leggere pochi libri”.
Secondo la sorella, Kolesnikova fa parte di quei detenuti politici che vivono il loro status con ottimismo, facendosi forza e trasmettendola a chi si trova in libertà. “Ma è normale – ha aggiunto Tatsiana Khomich – che non tutti siano così positivi. La maggior parte di loro ha paura di essere dimenticato. Ogni lettera è un momento di felicità per un prigioniero politico. Ma a volte i secondini censurano le lettere oppure non le consegnano come forma di pressione e punizione verso i detenuti”.
Anche per questo motivo, una delle iniziative più promosse dalle associazioni di diritti umani è quella di scrivere ai detenuti. In Bielorussia come altrove. Per non farli sentire soli nella loro battaglia. “E’ necessario – ha concluso Tatsiana Khomich – mantenere un’attenzione costante sulla situazione in Bielorussia perché non scompaia dall’agenda internazionale. Le autorità manipolano in modo furbo la situazione per deviare l’attenzione pubblica. Il dirottamento dell’aereo (per arrestare un oppositore, ndr) o la crisi sul dei migranti sul confine con la Polonia sono la conseguenza del deterioramento dei diritti umani all’interno del Paese”.
Fonte: today.it
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