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Dallo Stato risarcimenti 2020 da 37 milioni per 750 persone detenute ingiustamente

I dati diffusi da Errorigiudiziari.com. In 30 anni 30mila casi. Costa: “Magistrati non pagano, cambiare legge”. La zona grigia delle richieste rifiutate.

In carcere, o agli arresti domiciliari, per mesi. A volte per anni. Salvo poi essere dichiarati innocenti al termine del processo. Storie nascoste, spesso non raccontate. Ma che racchiudono la vita di persone nei confronti delle quali è stata la giustizia a sbagliare. Sono circa mille gli uomini e le donne che ogni anno ottengono il risarcimento dallo Stato italiano perché hanno ingiustamente trascorso del tempo in cella. Perché, dopo essere stati arrestati – a volte molto tempo dopo l’inizio delle detenzione – sono stati assolti in via definitiva.

L’associazione Errorigiudiziari.com ogni anno rielabora i dati del ministero dell’Economia, sull’ammontare dei risarcimenti che lo Stato versa a chi ingiustamente è stato in carcere. E, una volta assolto, ha chiesto alla Corte d’Appello competente i danni. Nel 2020 sono stati spesi per risarcire queste persone quasi 37 milioni di euro. Ai quali si aggiungono 9 milioni di euro erogati per gli errori giudiziari, una cifra che corrisponde al triplo erogato per le stesse ragioni nel 2019. La differenza tra i due casi? Nel primo caso parliamo di persone che sono state sottoposte a una misura cautelare e, successivamente, assolte in via definitiva. Nel secondo, parliamo di persone condannate che poi vengono assolte in seguito alla revisione del processo. Quest’anno il risarcimento è stato riconosciuto a sedici di loro.

La media di soggetti risarciti per ingiusta detenzione è, invece, di circa mille all’anno. Nel 2020, invece, le riparazioni erogate sono state 750. Il dato potrebbe risentire dell’effetto Covid e del rallentamento delle decisioni giudiziarie. La cifra dei risarcimenti liquidati supera comunque di gran lunga la media annuale  -di 27.405.915 milioni di euro – calcolata dal 1991 al 2020. La città in cui l’anno scorso sono stati elargiti più fondi per risarcire chi aveva subito un’ingiusta detenzione è Reggio Calabria con quasi 8 milioni. Segue Catanzaro, con circa 4 milioni e mezzo. Al terzo posto c’è Palermo.

Uno sguardo all’ultimo trentennio ci aiuta a capire quanto sia grande il fenomeno. Gli errori giudiziari per i quali è stato riconosciuto il risarcimento sono 207. Di ben altro tenore le cifre  dell’ingiusta detenzione: “Dal 1992 al 2020 gli indennizzati sono stati 30.000, con spesa di 870 milioni”, ha scritto su Twitter il deputato di Azione Enrico Costa. Che ha poi aggiunto: “Paga solo lo Stato: chi sbaglia continua indisturbato la sua carriera”, ha aggiunto, riferendosi ai pm e ai giudici che, in questo caso, commettono un errore. Il parlamentare ha presentato una proposta di legge che punta a modificare proprio questo aspetto: “La prossima settimana sarà discussa alla Camera la mia proposta di legge che prevede che il provvedimento che riconosce la riparazione per ingiusta detenzione sia trasmesso automaticamente al titolare dell’azione disciplinare per le valutazioni di competenza. Inoltre si introduce una nuova e specifica ipotesi di responsabilità disciplinare per ‘chi abbia concorso, per negligenza o superficialità, anche attraverso la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare, all’adozione di provvedimenti di restrizione della libertà personale per i quali sia stata disposta la riparazione per ingiusta detenzione’”, ha spiegato in una nota. “Questo è un punto fondamentale e non formale: per tali errori finora ha pagato solo lo Stato; il magistrato che sbaglia non ne risponde. Occorre intervenire”, ha concluso.

C’è poi un altro aspetto della vicenda, e riguarda l’articolo che disciplina la richiesta del risarcimento per ingiusta detenzione. L’art. 314 del codice di procedura penale dà la possibilità di rivolgersi al giudice per la riparazione del danno. Ma precisa che la riparazione può avvenire “qualora (il soggetto, ndr) non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”. Spesso però accade che nella definizione di colpa grave il singolo giudice includa condotte che, per chi contesta questa norma, non hanno nulla di colposo. “Succede molte volte, e consideriamo che secondo alcune stime due richieste su tre vengono rifiutate, che si nega ad esempio il risarcimento all’assolto che, quando era stato arrestato, si è avvalso della facoltà di non rispondere o a chi, pur non avendo commesso reati, aveva rapporti di amicizia con chi, invece, i reati li aveva compiuti”, spiega ad HuffPost Giulio Petrilli che, suo malgrado, conosce bene la materia. Aveva 20 anni quando fu arrestato con l’accusa di banda armata. Erano i primi anni ottanta e quell’accusa, rivelatasi poi infondata, gli è costata sei anni di carcere. In un regime simile all’attuale 41 bis. La sua colpa? Non era certamente da trovare nel codice penale, visto che è stato poi assolto in via definitiva. Ma nelle frequentazioni che aveva in quegli anni. Dopo l’assoluzione, però, non ha ottenuto il risarcimento. Perché secondo le corti che hanno valutato il caso quelle “cattive amicizie” avrebbero in sostanza tratto in inganno il giudice.

Da decenni Petrilli combatte la sua lotta affinché gli assolti siano risarciti a prescindere dalle loro amicizie e, soprattutto, a prescindere dalla condotta che hanno avuto quando si sono trovati per la prima volta di fronte agli inquirenti. “Le persone come me sono invisibili – ci dice ancora – quella legge andrebbe modificata per fare in modo che ogni assolto sia risarcito per il semplice fatto di aver trascorso ingiustamente del tempo in galera”.

 

Fonte: huffingtonpost.it

Redazione OSAPPoggi

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