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Decreto carceri, allarme per i contagi Covid: vanno a casa 5.000 detenuti

La decisione: tremila ai domiciliari con il braccialetto e altri duemila non rientreranno la notte. Già 150 i detenuti trovati positivi al virus in 41 istituti, e 200 operatori di Polizia penitenziaria. Nuove norme per le attività investigative e penali in smartworking.

La seconda ondata del Covid spaventa le carceri: sono già 150 i detenuti trovati positivi al virus in 41 istituti, 71 solo a San Vittore a Milano, 55 a Terni, altri 12 a Benevento. Non solo: anche 200 operatori di Polizia penitenziaria risultano contagiati in tutta Italia, tre sono ricoverati, il resto in quarantena a casa. I focolai negli istituti per ora sono sotto controllo e al ministero della Giustizia dicono che i numeri di oggi sono in linea con quelli di inizio aprile, ma è il crescendo degli ultimi giorni a preoccupare. Così, nell’ultima riunione del Consiglio dei ministri, due giorni fa, sono stati presi provvedimenti per limitare la diffusione del contagio anche nei penitenziari. A beneficiarne saranno circa 2 mila detenuti attualmente in semilibertà che la sera potranno dormire a casa senza rientrare in cella e almeno 3 mila detenuti comuni: in tutto, 5 mila persone, poco meno del 10 per cento della popolazione carceraria (54.815 detenuti).

Esclusi i reati di mafia, terrorismo, corruzione, violenza sessuale

La nuova norma, entrando nel dettaglio, prevede la possibilità della detenzione domiciliare, ma con l’applicazione del braccialetto elettronico, per circa 3 mila detenuti che hanno subìto pene di durata non superiore a 18 mesi. Il Guardasigilli, Alfonso Bonafede (M5S), con un post su Facebook ieri ha tenuto a sottolineare che la norma in questione non si applicherà ai condannati per mafia, terrorismo, corruzione, voto di scambio, violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia, stalking. E sarà preclusa anche a chi ha partecipato alle rivolte nelle carceri, a chi ha subìto un procedimento disciplinare nell’ultimo anno e infine a chi, dopo l’entrata in vigore del decreto, sarà oggetto di nuove contestazioni per disordini, rivolte, sommosse.

La possibilità di non rientrare in cella

Sempre al fine di contenere le occasioni di contagio, che il regime di semilibertà può accrescere per il fatto che il detenuto ogni giorno fa la spola tra il mondo esterno (dove studia o lavora) e il carcere (dove la sera torna a dormire), ecco che il decreto prevede per circa 2 mila detenuti (esclusi i condannati per mafia o terrorismo) la possibilità di non rientrare a dormire in cella. Al condannato in semilibertà, il magistrato di sorveglianza potrà dunque concedere licenze con durata superiore a quindici giorni fino al 31 dicembre 2020, salvo che non vengano ravvisati gravi motivi. «Sono norme importanti ed equilibrate — commenta il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Giorgis (Pd) — che mi auguro contribuiranno a ridurre i rischi di diffusione dei contagi senza compromettere le esigenze di sicurezza». Il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, per la lotta al Covid chiede però al governo un ulteriore sforzo: «Resta ineludibile la predisposizione di spazi di ricovero interno che si spera non siano necessari, ma che sarebbe errato non prevedere».

Come mutano le procedure in smartworking

«Dobbiamo essere uniti e coesi contro l’unico nemico, la pandemia», è l’appello del ministro Bonafede. È così che il governo nell’ultima seduta ha varato il pacchetto-giustizia. «Tutti gli operatori devono trovarsi nelle condizioni di poter lavorare in sicurezza», dice il Guardasigilli. Tra le misure previste: «Indagini preliminari con collegamenti da remoto»; «udienze penali mediante videoconferenze (con il consenso delle parti)»; «possibilità di ricorrere all’udienza cartolare anche per i casi di separazione consensuale e divorzio congiunto»; «possibilità per gli avvocati penalisti di depositare da remoto, con pieno valore legale, istanze, memorie e atti mediante il portale del processo penale telematico o tramite invio pec». Infine, una promessa: «Al ministero — conclude Bonafede — stiamo lavorando per garantire che i cancellieri in smart working possano accedere ai registri del civile e del penale in modo da potenziare l’attività a distanza. E agli avvocati si darà la possibilità di accedere dai loro studi, dopo la chiusura delle indagini, agli atti del procedimento penale».

 

 

 

 

Fonte: corriere.it

Redazione OSAPPoggi

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