Con la fine del periodo estivo, una nuova ondata di contagi sta interessando l’intero pianeta, generando una situazione che giorno dopo giorno è sempre meno gestibile e coinvolge ogni aspetto della società, tra cui l’ambito penitenziario.
Nonostante le diverse e variegate misure adottate da mesi, rimane molto difficile arginare e contenere l’espansione del virus, soprattutto in quei luoghi, come appunto il carcere, in cui il contatto con il “mondo esterno” è un diritto del detenuto, fa parte integrante di quel programma di trattamento finalizzato alla rieducazione e alla risocializzazione e la cui limitazione costituisce indubbiamente “una pena della pena”.
Molti gli interessi da contemperare in tutta la società e in particolare nella sub-società carceraria: il primo e in questo particolare momento il più importante, il diritto alla salute, cui si aggiunge il diritto alla pubblica sicurezza, alla rieducazione, al lavoro, a mantenere i rapporti familiari.
Al fine di contenere il rischio di contagio all’interno degli istituti di pena e, contemporaneamente, non sacrificare le aspettative dei detenuti, si è cercato di far uso di tutti gli strumenti previsti all’interno dell’ordinamento penitenziario.
I provvedimenti adottati con i precedenti decreti, tuttavia, non sono stati sufficienti a contenere il rischio di contagio e quindi, preso atto di questa nuova fase di emergenza, si è ritenuto di dover intervenire nuovamente con un provvedimento che, tra le varie tematiche, torna ad occuparsi degli istituti penitenziari.
Nell’ambito del titolo III dell’ultimo d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020 intitolato “Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19” (c.d. Decreto Ristori), sono state inserite tre norme finalizzate a contenere il rischio di espansione del Covid-19 all’interno degli istituti penitenziari.
In particolare, l’art. 28 del d.l. n. 137/2020, ricalcando il precedente art. 124 contenuto nel primo decreto “Cura Italia”, prevede la possibilità di concedere licenze straordinarie per i detenuti ammessi al regime di semilibertà. Si tratta di permessi particolari attraverso i quali poter trascorrere fuori dal carcere interi periodi di durata anche superiore ai quarantacinque giorni all’anno (termine indicato dall’art. 52 ord. pen.), accordati ai detenuti già sottoposti alla misura della semilibertà, salvo che il magistrato di sorveglianza ritenga esistenti gravi motivi ostativi alla concessione della misura; permessi la cui durata potrà estendersi sino al 31 dicembre 2020.
Sostanzialmente la norma in commento, così come quella indicata nel decreto n. 18/2020 all’art. 124, richiama l’art. 52 ord. pen., inserito nell’ambito del titolo dedicato al trattamento penitenziario e più specificamente alla misura della semilibertà, con l’aggiunta del limite dei gravi motivi ostativi.
Come è noto, il regime di semilibertà consente al detenuto di uscire, nel corso della giornata, dall’istituto di pena al fine di svolgere attività di studio, formazione, lavoro, per poi farvi rientro a fine giornata. Si tratta di un istituto che permette al condannato di consolidare il percorso di recupero, attuato all’interno del carcere, attraverso un reinserimento graduale e controllato nell’ambiente esterno.
Nell’applicazione di tale regime, la previsione di cui all’art. 52 ord. pen. consente di mitigare ancora di più quello status di detenuto al quale, nei casi in cui quest’ultimo si dimostri meritevole, viene data la possibilità di trascorrere interi periodi di tempo fuori dal carcere.
In questo particolare periodo storico, proprio tale ultima caratteristica ha portato alla scelta di utilizzare lo strumento della licenza straordinaria, al fine di raggiungere un preciso obiettivo: impedire che il condannato sottoposto alla semilibertà, entrando in contatto con persone ed ambienti esterni all’istituto penitenziario e facendovi rientro a fine giornata, possa facilitare l’introduzione e la circolazione del virus, mettendo a rischio la salute degli altri detenuti e di tutte le persone, tra cui agenti di polizia penitenziaria, personale amministrativo, psicologi, esperti ecc., che prestano la loro attività professionale all’interno della struttura detentiva.
Andando, tuttavia, a leggere con attenzione il testo della norma del decreto Ristori, emerge ictu oculi una differenza con l’art. 52 ord. pen., potenzialmente foriera di dubbi interpretativi. Non appare, infatti, particolarmente opportuna la scelta di inserire nella rubrica della norma il riferimento a “licenze premio straordinarie”, per poi non indicare espressamente all’interno del testo il riferimento alla licenza concessa «a titolo di premio», così come avviene nell’art. 52 ord. pen.
Non si comprende bene se il carattere di straordinarietà debba solo individuarsi nel fatto che tali licenze possono avere una durata superiore ai quarantacinque giorni all’anno, da estendersi non oltre il 31 dicembre 2020, o se debba anche essere ricondotto al fatto che, trattandosi di una previsione che deve far fronte ad una situazione di grave crisi sanitaria, necessiti di una applicazione immediata e quanto più estesa possibile, per la quale la caratteristica di essere indirizzata a condannati particolarmente meritevoli possa ritenersi superata.
Per tale ultima soluzione, nonostante la rubrica della norma, farebbe propendere l’indicazione relativa alla valutazione da parte del magistrato di sorveglianza di gravi motivi ostativi: considerato, infatti, che per i detenuti ammessi al regime di semilibertà la durata della licenza possa essere superiore a quarantacinque giorni all’anno e che tale concessione non debba necessariamente presentare carattere di premialità, è quanto meno richiesta l’insussistenza di gravi motivi ostativi, rimessa alla valutazione discrezionale del magistrato di sorveglianza.
Non solo. Se la licenza straordinaria dovesse essere applicata solo a titolo di premio, verrebbe meno il fine per il quale, in questo momento di grave emergenza, si è pensato ad un uso straordinario di tale misura: è chiaro, infatti, che l’esclusione dell’applicazione di questi permessi per i condannati non particolarmente meritevoli, ma comunque già sottoposti al regime di semilibertà, consentirebbe quella continua alternanza tra fuori e dentro il carcere che farebbe aumentare il rischio di contagio e renderebbe inutile l’inserimento dell’art. 28 nell’ambito del titolo dedicato alle Misure in materia di salute e sicurezza e altre disposizioni urgenti.
Al di là delle questioni relative alla formulazione della norma, appare comunque realistico ipotizzare che l’utilizzo della licenza straordinaria sia idonea a limitare il contagio tra le persone all’interno degli istituti penitenziari, contribuendo a ridurre le probabilità che il virus possa “invadere” interi istituti, con tutto ciò che ne conseguirebbe in termini di pregiudizio alla sicurezza pubblica, al mantenimento dell’ordine, al diritto alla salute. Non è un caso, infatti, che la norma sia stata inserita, per la seconda volta, all’interno di quelle disposizioni con le quali si sta cercando di gestire questa seconda grave ondata di contagi.
Fonte: penaledp.it