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DECRETO SICUREZZA – LE NOVITA’ IN MATERIA PENALE

Il 22 ottobre è entrato in vigore il testo, in 16 articoli, del nuovo decreto sicurezza. L’effetto principale è quello, anticipato dal dibattito politico e sottolineato dagli organi di stampa, di uno tsunami normativo che, di fatto, spazza via i precedenti decreti firmati dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini.

L’impatto complessivo è, invece, per l’interprete, quello di un vortice di innovazioni che risucchia al suo interno entità normative diversissime, enunciate nella stessa titolazione del provvedimento: immigrazione, protezione internazionale e complementare, articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, divieto di accesso agli esercizi pubblici e ai locali di pubblico trattenimento, contrasto all’utilizzo distorto del web e disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.

Di fronte a un apparato così eterogeno di innesti novellistici, che, per un verso, traduce le istanze emotive dell’opinione pubblica, per altro verso, si pone in rapporto di osmosi con le contingenze politiche, facendo incursione in terreni morfologicamente e strutturalmente assai diversi, appare difficile operare una sorta di lettura sistematica.

Mentre diventa indispensabile, nella liquidità delle norme, che si susseguono ormai in modo sempre più frenetico anche con interventi chirurgici, riconoscere e interpretare il dato vigente.

Questo appare tanto più importante per la materia penalistica, attese le declinazioni del principio di legalità nell’alveo della successione di norme, ed è a questa che viene limitato il presente contributo.

Accesso indebito a dispositivi di comunicazione da parte di detenuti

Nell’ambito appena circoscritto, emerge anzitutto l’introduzione, per mano del decreto de quo (art. 9), nell’ambito del Libro II Titolo III Capo II del codice penale, di una nuova fattispecie incriminatrice “in materia di contrasto all’introduzione e all’utilizzo di dispositivi di comunicazione in carcere”, diretta, per l’appunto, a punire, con la reclusione da 1 a 4 anni, chiunque indebitamente procuri a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni o comunque consenta a costui l’uso indebito dei predetti strumenti o introduca in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta.

Trattasi di reato comune, potendo lo stesso essere commesso da chiunque, salvo l’aggravante speciale ad effetto speciale allorquando autore del reato sia un pubblico ufficiale, un incaricato di pubblico servizio ovvero un soggetto che esercita la professione forense, con la previsione, in tal caso, di una pena detentiva da 2 a 5 anni: tale aggravamento è evidentemente connesso al maggior disvalore penale di una condotta posta in essere da autori qualificati, tenuti all’osservanza non solo delle regole penali, ma anche di quelle disciplinari e deontologiche connesse alle rispettive funzioni.

L’illecito in questione è configurato come reato a forma libera, il che significa che ai fini della sua integrazione è sufficiente che sia posta in essere una delle condotte individuate in via alternativa.

La pena della fattispecie base è estesa anche al detenuto che indebitamente riceva o utilizzi un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni.

Agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti al 41-bis

La fattispecie sopra esaminata si applica in via sussidiaria rispetto all’art. 391 bis c.p., come si evince dalla clausola di salvaguardia posta in apice all’articolo 391 ter (fuori dai casi previsti dall’articolo 391-bis) e, pertanto, oltre l’ambito delle restrizioni proprie del regime di carcere duro cui si riferisce la prima norma. Anche quest’ultima, peraltro, come noto introdotta nel 2009 per reprimere le condotte di intermediazione comunicativa e, quindi, di mantenimento di collegamenti tra i soggetti sottoposti al regime del 41 bis legge 354/1975 e altri membri della consorteria criminale ancora in libertà o a loro volta ristretti, è stata ritoccata dal legislatore (art. 8).

Con l’art. 8 è stata modificata la rubrica della norma che ora titola “Agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti alle restrizioni di cui all’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. Comunicazioni in elusione delle prescrizioni” ed è stato previsto un inasprimento delle pene, innalzate da 2 a 6 anni (in luogo delle attuali, da 1 a 4), per la condotta comune, e da 3 a 7 anni (in luogo delle attuali, da 2 a 5) per la condotta posta in essere da soggetti qualificati (pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio e avvocato).

Parallelamente a quanto previsto per la nuova fattispecie di cui all’art. 391 ter c.p. è stata introdotta, anche nell’art. 391 bis c.p., l’estensione della pena della fattispecie base “anche al detenuto sottoposto alle restrizioni di cui all’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 il quale comunica con altri in elusione delle prescrizioni all’uopo imposte” con la conseguente configurazione dei reati de quibus quali reati plurisoggettivi.

Aumento di pene per il reato di rissa

Un ulteriore inasprimento sanzionatorio, evidentemente dettato dal preoccupante aumento di forme di devianza a base violenta che si indirizzano immediatamente contro i beni individuali, è stato previsto dal decreto in questione per il reato di rissa: l’art. 10, memore della triste vicenda che ha visto la morte del giovane Willy Monteiro Duarte, ha fissato in 2.000,00 euro, in luogo dei precedenti 309,00 euro, la multa per la mera partecipazione alla rissa, e ha stabilito una cornice edittale da 6 mesi a 6 anni, anziché da 3 mesi a 5 anni, per la partecipazione ad una rissa da cui derivino morte o lesioni.

Estensione del c.d. Daspo urbano

L’intento di offrire una risposta pronta ed effettiva all’allarme destato nell’opinione pubblica dalla criminalità da strada sembra porsi anche alla base dell’integrazione del Decreto Legge n. 14/2017 in materia di c.d. daspo urbano ad opera dell’art11 del decreto che si annota. In forza di tale disposizione, infatti, il Questore può inibire l’accesso all’interno, o lo stazionamento nelle immediate vicinanze, di scuole, plessi scolastici, sedi universitarie, locali pubblici o aperti al pubblico, ovvero pubblici esercizi, a persone che siano state denunciate o condannate, anche con sentenza non definitiva, nel corso degli ultimi tre anni, per reati di vendita o cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope, in quei luoghi avvenuti. E la violazione della prescrizione viene sanzionata penalmente con la reclusione da 6 mesi a 2 anni e con la multa da 8.000 a 20.000 euro.

Il rafforzamento dei poteri del Questore in materia di sicurezza è reso ancor più robusto dalla previsione, sempre nell’ambito della stessa disposizione, della possibilità, in capo a tale Autorità, di inibire l’accesso a specifici esercizi pubblici o locali di pubblico trattenimento a persone denunciate, negli ultimi tre anni, o condannate con sentenza anche non definitiva per delitti non colposi contro la persona o il patrimonio ovvero aggravati da motivi discriminatori o comunque per reati commessi in occasione di gravi disordini.

Tale inibizione può essere estesa ai pubblici esercizi o ai locali di pubblico trattenimento presenti nel territorio dell’intera provincia nei confronti delle persone che, per i reati di cui sopra, siano state poste in stato di arresto o di fermo convalidato dall’Autorità giudiziaria, ovvero condannate, anche con sentenza non definitiva: anche in quest’ultimo caso, la violazione comporta l’integrazione della nuova fattispecie di reato punita con la pena della reclusione da 6 mesi a 2 anni e con la multa da 8.000 a 20.000 euro.

Modifica dell’art. 131-bis c.p.

Tra le novità in materia penalistica si colloca anche la modifica dell’art. 131 bis c.p. ad opera dell’art. 7 del decreto: tale incursione del legislatore nella causa di non punibilità vale ad escludere che l’offesa connessa alla commissione di un reato possa essere ritenuta di particolare tenuità, ancorchè ricorrano i presupposti dell’istituto in termini edittali ex art. 131 bis comma 1, allorquando il reato sia commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni o nell’ipotesi di oltraggio a magistrato in udienza.

Viene, in tal guisa, riscritto l’ambito di applicazione dell’istituto in questione con riferimento ai reati commessi nei confronti di soggetti pubblici, contemplandosi, in luogo di tutti i pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, i soli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, che siano attinti dalla condotta illecita nell’esercizio delle loro funzioni, e il magistrato in udienza cui sia rivolta una condotta oltraggiosa.

Disposizioni in materia di delitti commessi nei centri di permanenza per i rimpatri

Infine, assumono interesse le previsioni di natura processuale introdotte nei nuovi commi 7 bis e 7 ter dell’articolo 14 del decreto legislativo 286 del 1998 (T.U. immigrazione) dall’art. 6 del decreto.

Tali disposizioni prevedono che debba considerarsi in stato di flagranza, anche se identificato successivamente sulla base di documentazione video o fotografica, chi risulti essere autore di delitti con violenza alle persone o alle cose, per i quali sia obbligatorio o facoltativo l’arresto ai sensi degli articoli 380 e 381 c.p.p., commessi in occasione o a causa del trattenimento nei centri di permanenza per i rimpatri o all’interno delle strutture di accoglienza per immigrati e richiedenti asilo.

In tali casi l’arresto è consentito entro 48 ore dalla commissione del reato ed il giudizio viene celebrato nelle forme del rito direttissimo.

 

 

 

Fonte altalex.com

Redazione OSAPPoggi

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