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Donna partorisce in carcere. Il medico: “Ero al telefono con il 118”

Ci sono ancora troppi dubbi e molte domande sulla vicenda di Amra, la giovane detenuta 20enne che lo scorso 31 agosto è stata costretta a partorire nella cella del carcere di Rebibbia. Innanzitutto: perché la ragazza ha fatto nascere da sola suo figlio in un’angusta cella dell’istituto peniteziario? E, soprattutto, dov’era il medico che avrebbe dovuto soccorrerla? Secondo quanto raccontato a Repubblica, il dottore era al telefono con il 118. Per questo motivo, per la Asl Roma 2, Amra ha partorito da sola, aiutata dalla sua compagna di cella.

Ma la versione contrasta con quanto ha raccontato la ragazza alla commissione carceri della Camera Penale di Roma: “Secondo voi è credibile che un medico sia andato a chiamare l’ambulanza? Casomai mandava un’infermiera”, domanda Amra, italiana di origine bosniaca, residente nel campo rom di Castel Romano.

La ragazza, quando è stata arrestata lo scorso 22 giugno, era incinta di sei mesi. Già in passato, durante le precedenti gravidanze, aveva avuto minacce di aborto.

Il parto

A distanza di settimane ancora non si è giunti a una risposta sul perché Amra abbia partorito da sola. “Alle ore 01.32 circa il medico di guardia giunge nella Sezione Infermeria e si dirige immediatamente verso la cella della detenuta, ove l’infermiera sta assistendo la stessa, constatando condizioni generali discrete e la detenuta vigile e lucida”, si legge in un documento inviato dall’azienda ospedaliera alla Regione Lazio dopo la richiesta di “chiarimenti sulla gestione delle donne detenute in stato di gravidanza”.

La notte tra il 31 agosto e il 1° settembre scorso inizia il calvario di Amra. Verso le ore 01.31 la ragazza ha un forte dolore e Marinella, la sua compagna di cella, chiama aiuto. Arriva un’infermiera: “Diceva di chiudere le gambe, ma Marinella mi ha detto di non farlo, il bambino poteva soffocare. Ho messo la mano sotto e ho sentito la testa, mi sono messa a letto ed è nata. Non piangeva. Aveva la placenta in faccia. L’ha levata lei con le mani e la bambina ha respirato. Poi è arrivato il dottore”, dice Amra.

Dall’altra parte, però, c’è una storia completamente diversa. L’Asl e il dottore sostengono che il medico avesse considerato il ricovero per la giovane partoriente. Per questo il dottore è andato “nella medicheria di sezione al fine di contattare il 118”. E dopo soli 3 minuti da quando ha visto per la prima volta Amra, “alle ore 01,35 circa, terminata la telefonata con gli operatori di 118”, è rientrato nella cella “costatando che il periodo espulsivo del parto si era concluso in presenza di due infermieri”.

Mentre si cerca di fare chiarezza sul caso, la Garante dei detenuti di Roma, Garbiella Stramaccioni, non ha dubbi: le donne incinte e i bambini non devono entrare in carcere. Per loro deve essere prevista una soluzione alternativa, come l’ingresso in una struttura comunale oppure l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari. “I bambini non devono entrare in carcere, così come le donne incinte – ha affermato Stramaccioni al Riformista – La detenzione preventiva nei penitenziari deve essere presa in considerazione come extrema ratio, solo per i casi di conclamata pericolosità sociale”. Amra, infatti, è stata arrestata la scorsa estate per un furto.

La vicenda

A denunciare la storia lo scorso settembre è stata la Garante dei detenuti di Roma, che, dopo essersi recata in carcere il 14 agosto, si è attivata affinché per la donna, così come per la sua compagna di cella, venisse valutata una detenzione alternativa.

Stramaccioni ha incontrato Amra nell’infermeria dell’istituto penitenziario, dove era ricoverata insieme ad altre due rom incinte e ai pazienti psichiatrici. Come ha raccontato al Riformista, Stramaccioni ha scritto al magistrato competente il 17 agosto scorso per chiedere una soluzione alternativa alla detenzione cautelare imposta alle due donne incinte, di 20 e 25 anni. Per esempio, aveva proposto la Garante, una soluzione per le due giovani donne sarebbe stata la Casa di Leda, una struttura protetta aperta dal marzo del 2017 per la tutela delle detenute con figli minori: può ospitare fino a sei persone e otto figli da zero a 10 anni. La sollecitazione non ha però ricevuto risposta. Forse, sottolinea il Garante, per il periodo di ferie osservato da molti.

E’ necessario fare chiarezza sul caso, così come è fondamentale svuotare il nido di Rebibbia: attualmente la struttura, su input della Garante dei Detenuti, è vuota.

 

 

 

 

Fonte: Andrea Lagatta – ilriformista.it

Redazione OSAPPoggi

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