«Le guardie non si toccano».
È questa la “democratica promessa” e realmente rispettata dei detenuti che lo scorso 9 marzo, presso il carcere di Melfi (PZ), hanno dato vita ad un’iniziativa degna delle romanzate carceri sud americane per protestare contro le restrizioni imposte per il contenimento della diffusione del Covid-19.
Durante quella complessa giornata, intorno alle 14:30, dopo il rientro intermedio dal passeggio, i detenuti (tra le settanta e le ottanta unità) si sono riversati, tra urla e schiamazzi, velocemente ed in maniera ben coordinata tutti sullo stesso piano (il primo) dove erano presenti tre agenti ed un ispettore insieme a cinque civili tra personale medico e paramedico, per un totale di nove persone che sono state -di fatto- sequestrate. Le lenzuola annodate al cancello per impedire l’accesso al piano ad altri uomini della polizia penitenziaria accorsa dall’esterno, sono state il simbolo dello Stato che per numerose, lunghe ed interminabili ore, era spettatore impotente.
L’azione dei detenuti si è limitata solamente a tutte le sezioni detentive e non all’intero istituto, non riuscendo, fortunatamente, a prendere possesso anche degli uffici che con alcuni e tempestivi sbarramenti sono rimasti sotto il controllo della polizia penitenziaria.
Ore concitate: una cancellata che divideva il piano dalla scalinata permetteva di comunicare. Polizia, Polizia Penitenziaria, Carabinieri, Guardia di Finanza, agenti antisommossa, funzionari della Questura di Potenza, commissari.
La trattativa “Stato-detenuti” si è protratta sino alla mezzanotte con l’ipotesi estrema di un eventuale atto di forza con l’ingresso di un corpo speciale dall’esterno. Qualche minuto dopo la mezzanotte, nella devastazione totale tra porte divelte e scrivanie distrutte, il personale civile è stato rilasciato per primo e a seguire anche gli uomini della polizia penitenziaria, mentre, nel caos generale, la rivolta proseguiva con l’occupazione di tutte le sezioni detentive. Ad oggi, i protagonisti di questa triste vicenda sono stati abbandonati. Non una congratulazione, non una rassicurazione dal provveditore o dalla direttrice dell’istituto penitenziario: tutti in malattia per un “presunto” stato ansioso e nessuno, da marzo, è stato chiamato dall’ospedale militare per riuscire ad ottenere nuovamente l’idoneità al servizio. Il silenzio dei media e delle istituzioni è stato ed è assordante. Il caso lucano è certamente in buona compagnia, quando il Paese è alle prese con le prime zone rosse tra Lombardia e Veneto ed il lockdown totale è alle porte. All’interno di numerose case circondariali e di detenzione, in maniera coordinata ed organizzata, tra il 7 e il 9 marzo si registrano rivolte, incendi, risse e fughe come mai nella storia dell’Italia repubblicana: 13 decessi tra i detenuti (9 a Modena, 3 a Rieti ed uno a Bologna), 136 agenti feriti e copiosi danni alle strutture stimati tra i 20 ed i 40 milioni di euro. Il 9 marzo a Foggia 77 detenuti si allontanano dal carcere trovando all’esterno numerose auto ad aspettarli.
La gravissima situazione del carcere di Melfi, però, ha origini ben più lontane e puntualmente segnalate in primis dalla segreteria generale dell’OSAPP, l’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria.
Il 4 ottobre veniva indirizzato al Capo del Dap Francesco Basentini, al Provveditore regionale Giuseppe Martone ed al Direttore Generale del personale Massimo Parisi un comunicato “urgentissimo” avente ad oggetto alcune gravi situazioni riscontrate all’interno della Casa Circondariale di Melfi «dove ci si permette di contravvenire a qualsiasi tipo di norma vigente pattizia con numerose inadempienze: irrazionale distribuzione del lavoro straordinario non convalidato da apposite relazioni di servizio, né giustificato e talvolta effettuato anche dove non previsto o dove non ve ne sia esigenza, l’ingiustificata e non concordata movimentazione interna fra i vari uffici, effettuazione di lavoro straordinario malgrado le limitazioni imposte dal medico del lavoro ed un doppio incarico di responsabilità (Area Segreteria ed Ufficio Comando) ad un ispettore che è spesso assente in virtù di una sua attribuzione in seno al Dap».
Denunciando, la compromissione palese ed evidente dei requisiti di ordine e di sicurezza interni ed esterni a causa della copertura minima dei posti di servizio su tre quadranti per 48 unità complessive con il rischio, a ragion veduta, di eventuali futuri problemi sia per il personale, sia per la popolazione detenuta. Come ben sappiamo a livello sindacale l’unione e la leale collaborazione fanno la forza ed il 16 giugno le segreterie regionali di OSAPP, Uilpa, Sinappe e Uspp a firma dei rispettivi segretari Cappiello, Sabia, Coviello e Messina inviano in forma congiunta al successore del dimissionario Francesco Basentini, travolto dalle scarcerazioni “facili” (nella famosa lista dei detenuti scarcerati perchè affetti da gravi patologie emergono i nomi di pericolosi detenuti in alta sicurezza per reati commessi con l’aggravante mafiosa, per quelli che riguardano il traffico internazionale di stupefacenti e detenuti al 41bis), Bernardo Petralia, un nuovo comunicato per denunciare apertamente una “anomala illogicità” circa l’incarico conferito con apposito provvedimento dipartimentale all’attuale comandante di reparto, funzione, questa, al momento svolta da un commissario del concorso interno per titoli ad 80 posti per la nomina alla qualifica iniziale di vice commissario del ruolo ad esaurimento del corpo della Polizia Penitenziaria.
Con numerose normative violate visto che il suddetto funzionario è anche il segretario regionale di una nota sigla sindacale in palese violazione con l’art.6 d.lgs n.146/2000 e successive modifiche con il d.lgs n.172/2019.
Infine bisogna anche premettere che le funzioni di comandante sono svolte in maniera conflittuale vista la presenza di un commissario capo di Polizia Penitenziaria gerarchicamente superiore.
Il commissario con funzioni di vice comandante, Saverio Brienza, ex capo scorta di Francesco Basentini al Dap ed il relativo ruolo conflittuale dal punto di vista sindacale, con il parere positivo del provveditore per la Puglia e la Basilicata, hanno messo in luce conflittuali situazioni che inficiano sul buon funzionamento della struttura e particolari rapporti all’interno dell’istituto melfese al limite dell’attenzione della Corte dei Conti che dovrebbe eventualmente approfondire anche un ipotetico danno erariale in merito all’ispezione effettuata durante la prima settimana del mese di novembre del 2019. Nessuna sigla sindacale ha mai avuto la possibilità di venire a conoscenza del contenuto di tale ispezione e dei riscontri effettuati nella casa circondariale dove da tempo viene denunciata tra le varie cose la carenza di personale nonostante la presenza di detenuti di alta sicurezza ed un sistema antiscavalcamento in condizioni precarie con la soppressione delle sentinelle e della ronda automontata.
I fatti di marzo, a questo punto, non devono stupire in quanto la gravità della situazione era ben chiara già da diversi mesi, il casus belli, solo casualmente, è stato quello delle restrizioni per il contenimento del Coronavirus.
È stato utilizzato del denaro pubblico per l’ispezione che, ad oggi, nessuno ha potuto visionare, chiusa in chissà quale cassetto?
È la domanda posta al Segretario Generale dell’OSAPP, Leo Beneduci, raggiunto telefonicamente:
«Di questa ispezione non ne sappiamo molto e vorrei fare un paio di considerazioni: gli esiti di un’ispezione sono necessari anche per giustificare la spesa sostenuta ed in questo caso degli esiti nessuno è a conoscenza. Ad un’ispezione non può corrispondere il nulla. Potrebbe esserci, quindi, inefficienza ed un impiego di denaro pubblico non congruo. In merito alle dinamiche interne e alla gestione del personale nel carcere di Melfi posso affermare che è palese l’incompatibilità dell’attuale comandante facente funzioni ed il direttore generale Massimo Parisi dovrebbe provvedere ad individuare un comandante titolare, questo dato, da un punto di vista sindacale, rappresenta una disfunzione grave: la situazione è stata prolungata ben oltre i limiti ed i tempi giustificati da una situazione emergenziale e di conseguenza transitoria».
Intanto il caso è arrivato in parlamento su iniziativa della deputata calabrese Wanda Ferro (FdI), componente della Commissione Antimafia, che recentemente ha presentato al Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, un‘interrogazione parlamentare al fine di comprendere se il ministro sia a conoscenza dei gravi fatti di Melfi e dell’ispezione dello scorso novembre, oltre alle iniziative che intende adottare per sanare le criticità ed evitare, per quanto possibile, futuri problemi. (ilmattinodifoggia.it)