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Fu il primo detenuto a morire per Covid: “Non ci furono negligenze”, archiviata l’inchiesta

Vincenzo Sucato, 76 anni, imputato nel processo “Cupola 2.0”, era spirato nel carcere Dozza di Bologna ad aprile. Era affetto da varie patologie e risultò poi positivo al virus. Dopo tante istanze, i domiciliari gli furono concessi solo tre giorni prima del decesso. La famiglia aveva presentato una denuncia.

Vincenzo Sucato, boss di Misilmeri, è stato il primo detenuto a morire per Covid in Italia ad aprile dell’anno scorso e sul suo caso, dopo la denuncia della sua famiglia, la Procura di Bologna aveva aperto un’inchiesta per omicidio colposo. Inchiesta che ora è stata archiviata: non ci sarebbero state infatti negligenze né da parte del personale che si occupò di lui nel carcere della Dozza né da parte dei sanitari che lo ebbero in cura quando venne ricoverato in ospedale.

Sucato, già condannato per mafia una quindicina di anni fa, era stato arrestato a dicembre del 2018 nel blitz “Cupola 2.0” dei carabinieri. Era in attesa di giudizio assieme, tra gli altri, al vecchio boss di Pagliarelli, Settimo Mineo, ritenuto il nuovo capo della Commissione provinciale di Cosa nostra, al quale proprio due giorni fa il gup Rosario Di Gioia ha negato la scarcerazione per motivi di salute, lasciandolo quindi recluso al 41 bis nel carcere di Sassari. Sucato era cardiopatico, diabetico e aveva problemi polmonari, era dunque un soggetto estremamente a rischio in caso di contagio. E infatti è stato proprio il Covid-19 a stroncarlo.

Già da mesi, prima ancora che scoppiasse la pandemia, il suo avvocato aveva presentato istanze di scarcerazione per gravi motivi di salute. Il gip di Palermo aveva anche disposto una perizia per accertare le sue condizioni, all’esito della quale le sue patologie erano state così certificate. Patologie, questo sostiene la famiglia, di cui il carcere bolognese sarebbe stato quindi perfettamente a conoscenza, quando a fine febbraio era scattato l’allarme coronavirus,, al quale poi Sucato era risultato positivo.

Il 24 marzo l’avvocato La Blasca si era nuovamente attivato per chiedere i domiciliari e nei due giorni successivi, il gip Filippo Serio aveva sollecitato una relazione da parte del carcere della Dozza. Il 27 Sucato aveva partecipato in videocollegamento all’udienza di “Cupola 2.0” ed era stato poi accompagnato dalla polizia penitenziaria all’ospedale Sant’Orsola. Il sospetto che potesse aver contratto il Covid-19 era così diventato certezza e Sucato era finito in terapia intensiva. Il 30 marzo il gip gli aveva concesso finalmente i domiciliari, da eseguirsi temporaneamente in ospedale, con un’ordinanza. Ma nella notte successiva Sucato era spirato. L’indagine avviata ora, dopo la denuncia della famiglia, servirà a chiarire se vi siano state responsabilità nel decesso, ovvero se questa morte in carcere si sarebbe potuta evitare.

 

Fonte: palermotoday.it

 

Redazione OSAPPoggi

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