La terza ondata di Covid-19 entra anche nelle carceri italiane. Colpisce indistintamente detenuti e agenti. Le vaccinazioni vanno a rilento.
Il caso del regista Ambrogio Crespi: attualmente è detenuto nel carcere milanese di Opera, lo stesso carcere dove aveva scontato 200 giorni di carcerazione preventiva, 65 dei quali in isolamento. Una condanna passata in giudicato per concorso esterno in associazione di stampo mafioso e voto di scambio.
Una vicenda di cui si è parlato poco, in modo frammentario. Pochissimi, finora, hanno levato la loro voce, mostrato attenzione a questo caso. Crespi viene tirato in ballo da alcune intercettazioni di persone che parlano di lui, a sua insaputa; una di queste persone, ascoltato in aula, sostiene di essersi inventato tutto, di essere un fanfarone che l’ha sparata grossa. Per qualche imperscrutabile ragione, viene creduto quando accusa; non gli si crede quando ritratta. Una storia piena di incongruenze e conti che non tornano, ben raccontate nel libro ‘Il caso Crespi’, di Marco Del Freo. Il Presidente onorario di Cassazione, Alfonso Giordano, Presidente del primo maxi-processo alla Cosa Nostra (quello istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino), nella prefazione al libro scrive che «anche per chi non abbia una approfondita conoscenza della personalità del Crespi, qualcosa stride nei due documenti giudiziari; e soprattutto poco convincenti appaiono certe credulità che hanno costituito i plinti dell’edificio usato per condannarlo in primo grado a dodici anni di reclusione, ridotti a sei in fase d’appello».
Già questo basterebbe per accendere sull’intera vicenda i riflettori. Invece nulla. Se si escludono i dirigenti del Partito Radicale e dell’associazione ‘Nessuno tocchi Caino’, un silenzio pressoché totale. Nessuno sembra darsi pena di conoscere e far conoscere. Sergio D’Elia, segretario di ‘Nessuno tocchi Caino’, osserva: “Di solito si dice che le sentenze non si commentano. Questa, per la gravità, va immediatamente e chiaramente commentata”. Quello che non è accaduto, non accade; e deve invece accadere.
Marta Cartabia presenta le linee programmatiche sulla Giustizia in commissione alla Camera. Una vera e propria lectio magistralis su diritto, legge, legalità. Di fatto le linee guida per una giustizia giusta: dal “superamento del carcere come unica risposta al reato” alla censura del “processo mediatico“. In una parola: l’orgoglioso rivendicare del primato della Costituzione: “L’idea di efficienza non rappresenta soltanto un obiettivo pragmatico, riflesso della stretta compenetrazione tra giustizia ed economia, ma si coniuga altresì con la componente valoriale del processo, con gli ideali tesi alla realizzazione di una tutela giurisdizionale effettiva per tutti”. E ancora: un lungo passaggio dedicato alla “centralità del Parlamento”, luogo di “confronto autentico schietto e tempestivo”. .
La convinzione che sia opportuna “una seria riflessione sul sistema sanzionatorio…che ci orienti verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato. La certezza della pena”. La detenzione in cella, “per gli effetti desocializzanti che comporta, deve essere invocata quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali”. Meglio non si sarebbe potuto dire.
Si potrà obiettare che sono, appunto, parole. Certo, si dovrà vedere se seguiranno fatti e interventi concreti; e quali. Ma intanto è importante che siano state dette. Il predecessore di Cartabia, Alfonso Bonafede da ben altra, opposta ‘filosofia’ era animato e ben altri i suoi peraltro maldestri interventi.
Su tutto ciò sarebbe opportuno, necessario avviare un processo di riflessione, confronto, dibattito. Quello che non è accaduto, non accade; e deve invece accadere.
La terza ondata di Covid-19 entra anche nelle carceri italiane. Colpisce indistintamente detenuti e agenti. Le vaccinazioni vanno a rilento.
Nella prima decade di marzo il numero dei reclusi infettati dal Coronavirus è salito dai 410 segnalati l’1 marzo ai 468 dell’8 marzo, fino ai 470 dell’11 marzo. Aumentati in modo rilevante anche gli agenti della polizia penitenziaria risultati positivi: dai 562 dell’1 marzo ai 612 dell’8 marzo, fino ai 655 del’11 marzo.
Il 1 marzo si contavano 52.644 donne e uomini (più 27 bambini, figli di mamme detenute) stipati negli spazi ristretti di 189 penitenziari. L’8 marzo il totale era di poco inferiore, 52.599 alla conta, a fronte di quasi 40mila agenti e graduati in divisa e a circa 4mila tra dipendenti amministrativi e dirigenti (49 dei quali risultavano positivi l’1 marzo e l’11 marzo, passando per i 48 dell’8 marzo), cui aggiungere medici e infermieri, insegnanti, mediatori, cappellani e volontari (dove ammessi).
L’associazione ‘Ristretti Orizzonti’ (dossier Morire di carcere) dalla primavera 2020 a inizio marzo 2021 ha avuto notizia di 18 reclusi stroncati dal virus. Il Covid, stando a sindacati e colleghi, in contemporanea è costato la vita a 4 medici penitenziari (di Foggia, Massa, Brescia e Napoli Secondigliano) e ad almeno 10 poliziotti penitenziari, 3 dei quali in servizio a Carinola (in provincia di Caserta). Potrebbero essere ancora di più? Altre tragedie irrimediabili sono sfuggite al censimento informale? Sul sito del ministero di Giustizia il riepilogo dei decessi non c’è, non nella pagine web con i monitoraggi settimanali resi pubblici.
All’8 marzo erano stati vaccinati 927 dei 52.599 detenuti presenti, meno del 2 per cento. L’11 marzo si è arrivati a 1.331 reclusi immunizzati (intorno al 2,5%). Il personale di polizia penitenziaria “avviato alla vaccinazione” l’8 marzo ammontava a 5.764 su un organico di 36.939; e l’11 marzo a 8.253.
Più in generale, la situazione delle carceri italiane nel diciassettesimo rapporto curato dall’associazione ‘Antigone’, che da anni monitora quello che accade negli istituti di pena. Il sovraffollamento continua a essere la grande piaga del pianeta carcere: si oscilla tra il 106,2 e il 115 per cento. Se si registra un lieve miglioramento rispetto agli anni passati, si legge nel rapporto, il merito, è “più dell’attivismo della magistratura di sorveglianza che dei provvedimenti legislativi“. In sostanza: la gestione dell’ex Ministro Bonafede è stata semplicemente fallimentare.
Si individuano realtà letteralmente indegne per un Paese civile. Il carcere di Taranto registra un sovraffollamento del 196,4 per cento: 603 detenuti per 307 posti; segue Brescia: 191,9 per cento, 357 detenuti per 186 posti; Lodi: 184,4 per cento, 83 detenuti per 45 posti. Nel 2020 si sono verificati 61 suicidi, tre dei quali solo a Como; 23,86 episodi di autolesionismo ogni cento detenuti. Per quel che riguarda l’organico, manca il 12,5 per cento degli agenti, il 18 per cento degli educatori e ben 31 direttori titolari.
Su tutto ciò sarebbe opportuno, necessario avviare un processo di riflessione, confronto, dibattito. Quello che non è accaduto, non accade; e deve invece accadere.
Fonte: lindro.it