Viterbo – Carcere di Mammagialla, si è chiuso ieri con due condanne a sei mesi di reclusione per oltraggio a pubblico ufficiale il processo in cui erano imputati quattro detenuti, tra i quali Andrea Di Nino, il 36enne romano che il 21 maggio 2018 si è poi tolto la vita impiccandosi in una cella d’isolamento, sulla cui morte è stata aperta un’inchiesta.
Quest’ultimo, in particolare, ha sputato una boccata di sangue addosso a un poliziotto, parte offesa del processo, colpendolo a una mano e a un braccio e costringendolo a sottoporsi ad accertamenti sanitari. Gli altri l’avrebbero sostenuto battendo sulle sbarre e urlando frasi tipo “meglio carcerato che secondino bastardo e cornuto”.
I fatti del processo che si è chiuso ieri davanti al giudice Elisabetta Massini risalgono a pochi mesi prima della morte del 36enne, che ha lasciato moglie e cinque figli.
Disordini nell’infermeria di Mammagialla
Era il 13 dicembre 2017 quando, nel corso di disordini scoppiati in infermeria, gli imputati se la sarebbero presa con un assistente capo della polizia penitenziaria, sentito ieri come testimone assieme all’infermiera che stava accompagnando a distribuire la terapia col carrello dei medicinali.
Per Di Nino già all’udienza del 7 ottobre 2019 era stata dichiarata l’estinzione del reato per morte del reo. Il quarto detenuto, invece, un 46enne d’origine marocchina, è stato assolto per non aver commesso il fatto.
Sono stati condannati un 43enne originario di Roma, ma residente a Vejano, e un 33enne anche lui romano.
“Entra in cella che ti facciamo vedere noi”
“Erano circa le 19, Di Nino si era buttato per terra, ma secondo il dottore che lo stava visitando non aveva niente, stava facendo finta. Dopo circa un quarto d’ora mi ha richiamato e mi ha sputato addosso una boccata di sangue, sporcandomi una mano e una manica della divisa. L’infermeria è composta da un corridoio molto stretto, su cui si affacciano sei celle, per cui eravamo a distanza ravvicinata, quindi mi ha preso”, ha spiegato il poliziotto, nel frattempo in pensione.
Il 36enne, in particolare, gli avrebbe detto: “Pezzo di merda, encefalitico, tanto ti vengo a cercare, a te, ai tuoi figli e vi stacco la testa, ti scopo tua moglie tanto non sei capace”.
Gli altri tre, nel frattempo, gli avrebbero dato manforte. “Mi dicevano ‘bastardo, entra in cella che ti facciamo vedere noi’, poi tutti quanti battevano sulle sbarre delle celle. Secondo loro avrei dovuto aiutare Di Nino, che era per terra, ad alzarsi. Ma lui, che in realtà stava bene, come ha detto il medico, si è rialzato da solo”.
Non è invece emerso che i detenuti, assolti dall’accusa di resistenza, avrebbero voluto far desistere l’agente e l’infermiera dal compiere la procedura relativa alla somministrazione della terapia farmacologica.
“Era imbrattato del sangue che gli avevano sputato addosso”
Ha rincarato la dose l’infermiera che si trovava con l’agente la sera in cui è avvenuto l’episodio. La sanitaria fa servizio a Mammagialla dal Duemila.
“Personalmente, anche ieri sera mi sono piovuti addosso insulti e quant’altro. Succede in continuazione, roba da far venire l’ulcera. Ma quel giorno erano tutti per l’agente. Noi, come facciamo sempre, abbiamo tirato dritto in silenzio, perché se parli, non finiscono più”, ha proseguito, spiegando che gli infermieri “viaggiano” sempre con un agente.
“Loro però non la finivano lo stesso. Gli dicevano frasi come ‘tanto quando esco, ti taglio la testa’, ‘meglio noi in carcere che tu con la divisa’. Uno si è fasciato le mani con qualcosa, tipo pugile, e gli faceva il verso di entrare in cella per fare a cazzotti. A un certo punto ho visto che il poliziotto aveva un braccio tutto imbrattato di sangue, che gli aveva sputato addosso uno dei detenuti“, ha concluso, confermando la versione della parte offesa e aggiungendo di essere comunque riuscita a somministrare ai detenuti la terapia.
“Ho voglia di spaccare il mondo”
Di Nino, al momento in cui fu rinvenuto cadavere, la sera del 21 maggio 2018, era in carcere da due anni per possesso di stupefacenti. Ha lasciato una compagna e 5 figli. Il corpo senza vita dell’uomo venne rinvenuto attorno alle ore 22. Si è suicidato in cella di isolamento e dal penitenziario sarebbe uscito di lì a un anno.
I familiari sono convinti che non si sarebbe mai potuto suicidare. In primis perché gli mancava un anno dalla fine della pena ed era convinto che sarebbe uscito anche prima. E poi perché dalle lettere che scriveva ai suoi cari, era evidente il desiderio di viversi appieno la famiglia una volta uscito dal carcere. “Ho voglia di spaccare il mondo” scriveva il 36enne.
Fonte: tusciaweb.it – Silvana Cortignani
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