Ha girato cella per cella, più di due ore, nel carcere di Arghillà per incontrare occhi negli occhi i detenuti. L’arcivescovo Fortunato Morrone, proprio nel giorno del suo insediamento, ha scelto di iniziare il suo cammino in periferia, là dove sono reclusi quanti hanno una pena da scontare.
Instancabile e paziente ha girato tutto l’istituto penitenziario, accompagnato dal direttore Calogero Tessitore e dal cappellano padre Carlo Cuccomarino e il direttore della Caritas diocesana don Nino Pangallo. Ci sono anche i Garanti per i diritti dei detenuti, sia il comunale, Giovanna Russo, che il regionale, Agostino Siviglia. Per tutti è un momento intenso, di grande sentire.
“La prima visita del vescovo in questo luogo ha una grande valenza, – dice il direttore Tessitore – il nostro compito è quello di curare le ferite degli esseri viventi che ci vengono affidati”.
Mons. Fortunato parlando con i detenuti racconta: “Ho chiesto di iniziare il mio ministero episcopale da qui, perchè la vostra condizione, qui dentro, non è normale. Anni fa ho avuto un parrocchiano detenuto a Terni che mi disse, parlando del carcere: “questa non è casa mia”, ecco io dico a voi questo non deve essere casa vostra, voi dovete andare oltre e vivere questo tempo come un momento di grazia, per ritrovare il bene”.
Poi ecco che riecheggiano le parole di un detenuto che legge una lettera a monsignor Fortunato: “E’ sempre possibile ricominciare per vivere una vita migliore”. Sono parole che arrivano al cuore dell’arcivescovo che chiede: “Chi di voi è padre?” C’è un giovane detenuto che dice di essere non solo padre ma anche nonno, ed allora il neo arcivescovo dice: “Così come tu amavi tuo figlio prima che venisse al mondo, mentre era nel ventre delle tua donna, il Padre vi ama. Gesù ci dice che Dio ci ama indipendentemente da quello che facciamo. Dovete ritrovare il senso del bene, dovete trovare nel vostro cuore l’amore del Padre e rinascerete. Siamo tutti prigionieri del nostro egoismo. Ma vi invito a scoprire il bene che c’è dentro ognuno di voi: questo periodo di grande sofferenza, però, vi offre la possibilità di riflettere su questo: il carcere non è casa vostra. Ribellatevi nel profondo del vostro cuore: puntate al meglio di voi, si può ricominciare. Questo è il Vangelo”.
I detenuti, infine, hanno omaggiato l’arcivescovo con un quadro raffigurante un crocefisso, dipinto da un ospite delle carceri.
Fonte: reggiotoday.it