La situazione che si sta determinando nelle carceri italiane, a causa della ripresa così significativa dei contagi, si somma ai problemi patologici del nostro sistema penitenziario e richiede attenzione e interventi da parte della politica e delle istituzioni. Ne va della salute di chi è in carcere, dei detenuti, degli agenti e degli operatori. I dati di ieri raccontano di 610 detenuti positivi e 847 persone, di cui 50 operatori, contagiate.
Di 75 istituti coinvolti su un totale di 192 e di 1009 detenuti in isolamento sanitario. Sono dati, per numero di coinvolti e di istituti interessati, estremamente più significativi e preoccupanti rispetto alla prima fase del contagio. Dati che potrebbero essere contenuti se si potesse operare in spazi adeguati a garantire quarantene e separazione. I protocolli adottati sono utili e efficaci ma si scontrano, innanzi tutto, proprio con la carenza di spazi. Sempre a ieri erano detenute 54.767 persone mentre i posti regolamentari disponibili sono 47.131. Si ritorna quindi a verificare un sovraffollamento significativo, non superiore a quello di fasi precedenti, ma che oggi in piena pandemia, con la necessità di avere spazi dedicati alla cura e all’isolamento e con l’impossibilità di tenere il distanziamento, diventa un grande problema da affrontare e da risolvere.
Le misure introdotte tempestivamente dal governo nel Decreto ristori, che in sostanza prorogano quelle decise a marzo, sono importanti, fortemente volute, ma non sufficienti. Bisogna provare a fare di più cogliendo anche le differenze rispetto al passato: dall’elevato numero di contagi al fatto che, in questa fase i nuovi ingressi quotidiani in carcere, che con il lockdown si erano ridotti di molto, oggi continuano a essere numerosi, mettendo, negli istituti circondariali soprattutto, la struttura ancora più sotto pressione per fare in modo che chi arriva non porti il virus all’interno.
In questa situazione molte associazioni e istituzioni lombarde, dall’Osservatorio carceri, al Garante di Milano, dal Presidente della commissione comunale alla Caritas, insieme alle Camere penali e a altre decine di firmatari, hanno lanciato un appello al Parlamento perché, prendendo atto di questa situazione, integri il Decreto ristori per intervenire ulteriormente al fine di ridurre la popolazione istituzionalizzata. Questo appello va raccolto e lo faremo presentando una serie di emendamenti utili per migliorare il testo in questa direzione.
Intanto riproporremo tre misure che già a marzo avevamo sostenuto: l’innalzamento da sei mesi a un anno del limite della pena da scontare al di sotto del quale sarà possibile andare agli arresti domiciliari senza braccialetto elettronico, escludendo, da questa come dagli altre misure che proponiamo, i condannati ai reati del 4bis (mafia, terrorismo, reati in famiglia e stalking); l’aumento di 30 giorni dello sconto di pena per ogni semestre a chi ha già goduto della riduzione della pena per buona condotta per anticipare, come si è già fatto in passato la fine della carcerazione; il rinvio dell’emissione degli ordini di esecuzione, a seguito di una condanna, delle pene detentive inferiori ai 4 anni. Inoltre, come ricordano i firmatari dell’appello lombardo, basterà sostituire nel testo attuale del decreto una “e” con una “o” per consentire, a chi ha già accesso a permessi premio o a permessi per il lavoro esterno, di restare temporaneamente fuori dagli istituti: si tratta di persone che, usufruendo già di quei provvedimenti non pongono problemi di sicurezza.
Lunedì su queste e altre questioni proporremo emendamenti al Decreto e chiederemo al governo un impegno. Sono misure urgenti che aiutano il governo degli istituti carcerari, norme di buon senso, suggerite e sostenute da chi, con ruoli diversi, lavora in carcere, che possono dare un contributo importante, con la consapevolezza che di fronte a questa tragedia non si deve lasciare da solo nessuno e che il diritto alla salute va garantito anche nei luoghi di reclusione.
fonte: www.ilriformista.it