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IL SERVIZIO DI MATRICOLA – CASO 1: Svolgimento e soluzione. CRIMINI EFFERATI: (Perugia e Cogne)

Caso 1 – La formazione sociale carcere.

 La prima parte dell’art.2 della Cost. – inserito nei principi fondamentali che hanno valore prescrittivo – tutela il principio personalista che ha un grande valore rispetto anche rispetto al lavoro della Polizia penitenziaria in quanto pone lo Stato in funzione dell’uomo e non viceversa.

Questo significa che se il lavoratore va tutelato in tutte le espressioni della sua attività e non utilizzato, strumentalizzato.

La stessa cosa vale per le persone private della libertà personale la cui condizione non serve allo Stato per dare “punizioni esemplari” ma solo ed esclusivamente per porre la persona in custodia cautelare di difendersi e quella condannata di seguire percorsi finalizzati alla tendenziale rieducazione.

Tornando agli agenti la loro dignità e professionalità, i loro diritti fondamentali (salute, famiglia, retribuzione, sindacalizzazione….) non possono essere mortificati da una erronea lettura delle norme sul trattamento delle persone private della libertà personale.

Se la Costituzione dice che gli imputati sono presunti innocenti e la limitazione della loro libertà deve avvenire solo ed esclusivamente per esigenze cautelari, il loro trattamento non deve dare luogo a forme di violenza fisica o morale (art.13 c.4 Cost) ma non equivale a una deliberata apertura del sistema penitenziario (che deve soddisfare esigenze cautelari) allo svago e la deliberata elusione del regime che governa il sistema.

Cerchiamo di comprendere meglio.

Lasciare come sta per avvenire i detenuti fuori dalle celle (camere di soggiorno e pernottamento) equivale a stravolgere le norne che individuano in quello spazio (la cella) il luogo in cui soddisfare le esigenze cautelari, separando i coimputati (art. 96 disp. att. cpp) per evitare, tra l’altro l’inquinamento probatorio.

Del resto e per concludere, se un programma trattamentale nei confronti di un condannato non giunge a termine, il soggetto DEVE uscire dal carcere quindi la finalità rieducativa è tendenziale….

Non si capisce il perché di una lettura così ampia della norma sui detenuti e la mortificazione dei diritti degli agenti che, di fatto, attraverso una infarcitura linguistica “in presenza” l’amministrazione sta chiudendo nelle sezioni.

Essere in presenza si concilia benissimo con la vigilanza (che è cosa diversa dalla custodia evocata dal Capo del Dipartimento nella sua direttiva sul rilancio penitenziario che sa tanto di promozionale, come dire a noi suona che in carcere in fondo si sta bene, rilanciamo l’offerta del soggiorno detentivo) ma evidentemente

chi ha concepito la direttiva sa benissimo che l’anarchia nelle sezioni è un dato tutt’altro che trascurabile.

In aggiunta a questa sessione alleghiamo una breve digressione sui delitti efferati che impattano nella formazione sociale carcere.

L’immatricolazione e gestione dell’autore di un crimine efferato.

La tragica ed orrenda morte del bambino di due anni, ucciso dalla madre in provincia di Perugia, ripropone drammi descritti dalla cronaca giudiziaria che, dopo una iniziale attenzione mediatica e riflessione politica, perdono la loro consistenza, rimanendo confinati nel perimetro penitenziario: Cogne ne è l’emblema.

La cronaca nera suscita una particolare attenzione, riscontra fortuna in trasmissioni televisive, ma alla fine chi resta con “l’assassino, lo stupratore, il serial killer, l’uxoricida” è l’agente di polizia penitenziaria e con minor intensità i suoi superiori.

 In questo spazio possiamo fare una analisi di alcune questioni che hanno grande rilievo: criminologico, penale, penitenziario.

Cominciamo dal primo aspetto non tanto sulle ragioni del crimine – che postulano una adeguata conoscenza della persona e del contesto in cui è avvenuto il delitto – ma sulla funzione della pena.

Il carcere nei confronti di una madre che uccide il figlio quale funzione ha?

Rieducativa?

Come vedremo la condanna comporta la decadenza dalla potestà genitoriale ( è una pena accessoria) e questo incide(rebbe) sulla possibilità di accesso alla detenzione domiciliare speciale per le detenute madri (e la vicenda di Cogne è stata valutata anche in questa prospettiva) ed allora qual è il “programma trattamentale”?

E cosa dire dell’infanticidio che rappresenta una specificazione dell’omicidio (chiunque) che trova una declinazione di genere nel femminicidio ma non anche nell’uccisione del marito (usiamo questo termine per indicare il maschio posto che uomo nell’accezione linneana si riferisce al genere umano).

Tutto questo merita approfondimento a cominciare dalle procedure d’immatricolazione dell’autore di un crimine efferato.

By Magile

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Redazione OSAPPoggi

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