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IL SERVIZIO DI MATRICOLA: “I DOVERI DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA”. Caso 3 bis: svolgimento e soluzione

La “polizia di prossimità”,  il poliziotto di quartiere, quello di sezione: l’arresto in flagranza.

Alfa è agli arresti domiciliari: durante un controllo dei carabinieri viene trovato in compagnia di Beta che è il banconista di un bar attiguo al luogo di esecuzione della misura – la casa della madre di Alfa -; la polizia giudiziaria sottopone entrambi e l’abitazione a perquisizione ex art.103 del dpr 309/1990 che si conclude con  il sequestro di 120 gr. di hashish.

Beta uno si reca in carcere a trovare il fratello Alfa Uno con il quale ha un colloquio in stanza separata in quanto  soggetto del circuito protetti. La Polizia penitenziaria prima dell’incontro effettua le prescritte perquisizioni previste dall’ordinamento penitenziario e non rinviene alcuna sostanza. Ripete l’operazione al termine dell’incontro rilevando addosso al detenuto Alfa uno 120 grammi di

La “polizia di prossimità”,  il poliziotto di quartiere, quello di sezione: l’arresto in flagranza.

Alfa è agli arresti domiciliari: durante un controllo dei carabinieri viene trovato in compagnia di Beta che è il banconista di un bar attiguo al luogo di esecuzione della misura – la casa della madre di Alfa -; la polizia giudiziaria sottopone entrambi e l’abitazione a perquisizione ex art.103 del dpr 309/1990 che si conclude con  il sequestro di 120 gr. di hashish.

Beta uno si reca in carcere a trovare il fratello Alfa Uno con il quale ha un colloquio in stanza separata in quanto  soggetto del circuito protetti. La Polizia penitenziaria prima dell’incontro effettua le prescritte perquisizioni previste dall’ordinamento penitenziario e non rinviene alcuna sostanza. Ripete l’operazione al termine dell’incontro rilevando addosso al detenuto Alfa Uno 120 grammi di hashish

Esse Due è un detenuto semilibero. Al rientro in istituto durante i prescritti controlli  viene trovato in possesso di 120 gr. di hashish.

Abbiamo prospettato tra esempi  che hanno come tratto comune la Polizia giudiziaria da un lato e soggetti sottoposti alla privazione della libertà personale dall’altro.

I quantitativi di droga sono gli stessi 

L’obbligo di riferire al PM di turno il fatto è altrettanto identico.

Vediamo i risvolti operativi nella prospettiva dei doveri della Polizia giudiziaria in caso di arresto (il fermo lo esamineremo nella prossima sessione) e facciamolo partendo da una considerazione preliminare:

il codice di procedura penale attribuisce al giudice il potere di applicare una misura cautelare attraverso un provvedimento (ordinanza) che ha effetti permanenti sul soggetto che viene sottoposto ad una limitazione della libertà personale.

Tuttavia la Polizia giudiziaria, in situazioni d’urgenza, ha il potere/dovere di disporre misure coercitive temporanee (arresto o fermo) e questo perché la Polizia – soprattutto quella di prossimità – è l’organo maggiormente presente sul luogo dei delitti.

La Polizia di prossimità (ad es. il poliziotto di quartiere, il carabiniere di quartiere) ha il compito di stabilire un contatto con i cittadini cui eroga sicurezza.

Il quartiere è un agglomerato urbano così come lo è una sezione detentiva o un carcere (in fondo è una formazione sociale radicata sul territorio dello stato in un ambito circoscritto ).

Quindi, dire che i poliziotti penitenziari attendono a compiti di Polizia di prossimità è esatto.

Tuttavia, non si comprende perché le misure precautelari (l’arresto) in ambito penitenziario trovino limitata applicazione, se riferite ad un soggetto già detenuto per altra causa.

Prendiamo l’ipotesi dei Carabinieri che procedono al controllo del detenuto agli arresti domiciliari. Questa attività è sovrapponibile al controllo in cella di un detenuto in custodia cautelare. 

Ora la presenza “irregolare” di una persona nell’abitazione legittima ( e per certi versi impone altrimenti che controllo è ) un approfondimento investigativo.

Cosa ci fa Beta a casa di Alfa?

Bene, invece della casa pensiamo ancora una volta a una cella: il poliziotto penitenziario vede lo “spesino” nella cella di un altro detenuto e si insospettisce.

Cosa deve fare?

Secondo il codice di procedura penale e in virtù delle sue prerogative può procedere – con l’ausilio del preposto – ad una perquisizione ex art.103 tulps ma…..attenzione, perché se l’esito dovesse rivelarsi negativo c’è la scure della raccomandazione del garante – recepita dal Dap – che subordina la praticabilità delle perquisizioni straordinarie a precise procedure. Ed allora cosa si fa?

Difficile dirlo, perché il codice è chiaro e inequivocabile, ma la gestione “disciplinare” del personale è ondivaga.

Se la perquisizione ha esito negativo si potrebbe “ sospettare” un abuso dell’agente (che ha fatto il suo dovere), viceversa se dovesse poi diffondersi la droga si imputa all’agente un omesso controllo, con conseguente responsabilità disciplinare.

Ed allora restiamo sul codice e lasciamo ad ognuno la decisione sul come agire.

Sicuramente la presenza dello “spesino”  va relazionata per iscritto ai sensi degli artt. 24 e 26 dpr 82/1999 per eventuali determinazioni da parte della Direzione.

Ma questa non è attività di PG in senso stretto perché la PG dipende funzionalmente dal PM ai sensi dell’art.109 Cost.

La soluzione sarebbe quindi quella di riferire immediatamente al superiore gerarchico la circostanza, fare una annotazione di PG ed attendere determinazioni.

Un ufficiale di PG diligente seguirà le norme del codice di rito e della normativa correlata (art.103 dpr 309/1990) perché è un suo preciso dovere e non hanno pregio le interferenze amministrative sulla praticabilità delle operazioni di Polizia.

Perché i Carabinieri durante il controllo degli arresti domiciliari agiscono d’iniziativa; il poliziotto addetto alla portineria procede di rito alla perquisizione del semilibero.

In entrambi i casi si informa il PM di turno che disporrà l’arresto e la conduzione – o permanenza – in carcere

L’unica variante – francamente incomprensibile – è quella della vicenda dei colloqui.

Magari si arresta il familiare – su disposizione del PM – ma il codice di rito verrà applicato in modo distorto: l’arrestato andrà nella stessa sezione del complice se l’istituto è di modeste dimensioni (ad es. Sondrio,  a discapito delle separazioni auspicate dall’art 94 disp att cpp ), il detenuto che ha ricevuto la droga non verrà arrestato ed il procedimento – per un reato che prevede l’arresto obbligatorio in flagranza – sarà a piede libero……

Dopo dieci giorni il detenuto viene scarcerato per scadenza dei termini della custodia cautelare del titolo originario di detenzione, con buona pace dei principi di obbligatorietà dell’azione penale e della legge penale.

 La “polizia di prossimità”,  il poliziotto di quartiere, quello di sezione: l’arresto in flagranza.

Alfa è agli arresti domiciliari: durante un controllo dei carabinieri viene trovato in compagnia di Beta che è il banconista di un bar attiguo al luogo di esecuzione della misura – la casa della madre di Alfa -; la polizia giudiziaria sottopone entrambi e l’abitazione a perquisizione ex art.103 del dpr 309/1990 che si conclude con  il sequestro di 120 gr. di hashish.

Beta uno si reca in carcere a trovare il fratello Afa Uno con il quale ha un colloquio in stanza separata in quanto  soggetto del circuito protetti. La Polizia penitenziaria prima dell’incontro effettua le prescritte perquisizioni previste dall’ordinamento penitenziario e non rinviene alcuna sostanza. Ripete l’operazione al termine dell’incontro rilevando addosso al detenuto Alfa uno 120 grammi di hashish

Esse due è un detenuto semilibero. Al rientro in istituto durante i prescritti controlli  viene trovato in possesso di 120 gr. di hashish.

Abbiamo prospettato tra esempi  che hanno come tratto comune la Polizia giudiziaria da un lato e soggetti sottoposti alla privazione della libertà personale dall’altro.

I quantitativi di droga sono gli stessi 

L’obbligo di riferire al PM di turno il fatto è altrettanto identico.

Vediamo i risvolti operativi nella prospettiva dei doveri della Polizia giudiziaria in caso di arresto (il fermo lo esamineremo nella prossima sessione) e facciamolo partendo da una considerazione preliminare:

il codice di procedura penale attribuisce al giudice il potere di applicare una misura cautelare attraverso un provvedimento (ordinanza) che ha effetti permanenti sul soggetto che viene sottoposto ad una limitazione della libertà personale.

Tuttavia la Polizia giudiziaria, in situazioni d’urgenza, ha il potere/dovere di disporre misure coercitive temporanee (arresto o fermo) e questo perché la Polizia – soprattutto quella di prossimità – è l’organo maggiormente presente sul luogo dei delitti.

La Polizia di prossimità (ad es. il poliziotto di quartiere, il carabiniere di quartiere) ha il compito di stabilire un contatto con i cittadini cui eroga sicurezza.

Il quartiere è un agglomerato urbano così come lo è una sezione detentiva o un carcere (in fondo è una formazione sociale radicata sul territorio dello stato in un ambito circoscritto ).

Quindi, dire che i poliziotti penitenziari attendono a compiti di Polizia di prossimità è esatto.

Tuttavia, non si comprende perché le misure precautelari (l’arresto) in ambito penitenziario trovino limitata applicazione, se riferite ad un soggetto già detenuto per altra causa.

Prendiamo l’ipotesi dei Carabinieri che procedono al controllo del detenuto agli arresti domiciliari. Questa attività è sovrapponibile al controllo in cella di un detenuto in custodia cautelare. 

Ora la presenza “irregolare” di una persona nell’abitazione legittima ( e per certi versi impone altrimenti che controllo è ) un approfondimento investigativo.

Cosa ci fa Beta a casa di Alfa?

Bene, invece della casa pensiamo ancora una volta a una cella: il poliziotto penitenziario vede lo “spesino” nella cella di un altro detenuto e si insospettisce.

Cosa deve fare?

Secondo il codice di procedura penale e in virtù delle sue prerogative può procedere – con l’ausilio del preposto – ad una perquisizione ex art.103 tulps ma…..attenzione, perché se l’esito dovesse rivelarsi negativo c’è la scure della raccomandazione del garante – recepita dal Dap – che subordina la praticabilità delle perquisizioni straordinarie a precise procedure. Ed allora cosa si fa?

Difficile dirlo, perché il codice è chiaro e inequivocabile, ma la gestione “disciplinare” del personale è ondivaga.

Se la perquisizione ha esito negativo si potrebbe “ sospettare” un abuso dell’agente (che ha fatto il suo dovere), viceversa se dovesse poi diffondersi la droga si imputa all’agente un omesso controllo, con conseguente responsabilità disciplinare.

Ed allora restiamo sul codice e lasciamo ad ognuno la decisione sul come agire.

Sicuramente la presenza dello “spesino”  va relazionata per iscritto ai sensi degli artt. 24 e 26 dpr 82/1999 per eventuali determinazioni da parte della Direzione.

Ma questa non è attività di PG in senso stretto perché la PG dipende funzionalmente dal PM ai sensi dell’art.109 Cost.

La soluzione sarebbe quindi quella di riferire immediatamente al superiore gerarchico la circostanza, fare una annotazione di PG ed attendere determinazioni.

Un ufficiale di PG diligente seguirà le norme del codice di rito e della normativa correlata (art.103 dpr 309/1990) perché è un suo preciso dovere e non hanno pregio le interferenze amministrative sulla praticabilità delle operazioni di Polizia.

Perché i Carabinieri durante il controllo degli arresti domiciliari agiscono d’iniziativa; il poliziotto addetto alla portineria procede di rito alla perquisizione del semilibero.

In entrambi i casi si informa il PM di turno che disporrà l’arresto e la conduzione – o permanenza – in carcere

L’unica variante – francamente incomprensibile – è quella della vicenda dei colloqui.

Magari si arresta il familiare – su disposizione del PM – ma il codice di rito verrà applicato in modo distorto: l’arrestato andrà nella stessa sezione del complice se l’istituto è di modeste dimensioni (ad es. Sondrio,  a discapito delle separazioni auspicate dall’art 94 disp att cpp ), il detenuto che ha ricevuto la droga non verrà arrestato ed il procedimento – per un reato che prevede l’arresto obbligatorio in flagranza – sarà a piede libero……

Dopo dieci giorni il detenuto viene scarcerato per scadenza dei termini della custodia cautelare del titolo originario di detenzione, con buona pace dei principi di obbligatorietà dell’azione penale e della legge penale.

 La “polizia di prossimità”,  il poliziotto di quartiere, quello di sezione: l’arresto in flagranza.

Alfa è agli arresti domiciliari: durante un controllo dei carabinieri viene trovato in compagnia di Beta che è il banconista di un bar attiguo al luogo di esecuzione della misura – la casa della madre di Alfa -; la polizia giudiziaria sottopone entrambi e l’abitazione a perquisizione ex art.103 del dpr 309/1990 che si conclude con  il sequestro di 120 gr. di hashish.

Beta uno si reca in carcere a trovare il fratello Afa Uno con il quale ha un colloquio in stanza separata in quanto  soggetto del circuito protetti. La Polizia penitenziaria prima dell’incontro effettua le prescritte perquisizioni previste dall’ordinamento penitenziario e non rinviene alcuna sostanza. Ripete l’operazione al termine dell’incontro rilevando addosso al detenuto Alfa uno 120 grammi di hascisch

Esse due è un detenuto semilibero. Al rientro in istituto durante i prescritti controlli  viene trovato in possesso di 120 gr. di hashish.

Abbiamo prospettato tra esempi  che hanno come tratto comune la Polizia giudiziaria da un lato e soggetti sottoposti alla privazione della libertà personale dall’altro.

I quantitativi di droga sono gli stessi. 

L’obbligo di riferire al PM di turno il fatto è altrettanto identico.

Vediamo i risvolti operativi nella prospettiva dei doveri della Polizia giudiziaria in caso di arresto (il fermo lo esamineremo nella prossima sessione) e facciamolo partendo da una considerazione preliminare:

il codice di procedura penale attribuisce al giudice il potere di applicare una misura cautelare attraverso un provvedimento (ordinanza) che ha effetti permanenti sul soggetto che viene sottoposto ad una limitazione della libertà personale.

Tuttavia la Polizia giudiziaria, in situazioni d’urgenza, ha il potere/dovere di disporre misure coercitive temporanee (arresto o fermo) e questo perché la Polizia – soprattutto quella di prossimità – è l’organo maggiormente presente sul luogo dei delitti.

La Polizia di prossimità (ad es. il poliziotto di quartiere, il carabiniere di quartiere) ha il compito di stabilire un contatto con i cittadini cui eroga sicurezza.

Il quartiere è un agglomerato urbano così come lo è una sezione detentiva o un carcere (in fondo è una formazione sociale radicata sul territorio dello stato in un ambito circoscritto ).

Quindi, dire che i poliziotti penitenziari attendono a compiti di Polizia di prossimità è esatto.

Tuttavia, non si comprende perché le misure precautelari (l’arresto) in ambito penitenziario trovino limitata applicazione, se riferite ad un soggetto già detenuto per altra causa.

Prendiamo l’ipotesi dei Carabinieri che procedono al controllo del detenuto agli arresti domiciliari. Questa attività è sovrapponibile al controllo in cella di un detenuto in custodia cautelare. 

Ora la presenza “irregolare” di una persona nell’abitazione legittima ( e per certi versi impone altrimenti che controllo è ) un approfondimento investigativo.

Cosa ci fa Beta a casa di Alfa?

Bene, invece della casa pensiamo ancora una volta a una cella: il poliziotto penitenziario vede lo “spesino” nella cella di un altro detenuto e si insospettisce.

Cosa deve fare?

Secondo il codice di procedura penale e in virtù delle sue prerogative può procedere – con l’ausilio del preposto – ad una perquisizione ex art.103 tulps ma…..attenzione, perché se l’esito dovesse rivelarsi negativo c’è la scure della raccomandazione del garante – recepita dal Dap – che subordina la praticabilità delle perquisizioni straordinarie a precise procedure. Ed allora cosa si fa?

Difficile dirlo, perché il codice è chiaro e inequivocabile, ma la gestione “disciplinare” del personale è ondivaga.

Se la perquisizione ha esito negativo si potrebbe “ sospettare” un abuso dell’agente (che ha fatto il suo dovere), viceversa se dovesse poi diffondersi la droga si imputa all’agente un omesso controllo, con conseguente responsabilità disciplinare.

Ed allora restiamo sul codice e lasciamo ad ognuno la decisione sul come agire.

Sicuramente la presenza dello “spesino”  va relazionata per iscritto ai sensi degli artt. 24 e 26 dpr 82/1999 per eventuali determinazioni da parte della Direzione.

Ma questa non è attività di PG in senso stretto perché la PG dipende funzionalmente dal PM ai sensi dell’art.109 Cost.

La soluzione sarebbe quindi quella di riferire immediatamente al superiore gerarchico la circostanza, fare una annotazione di PG ed attendere determinazioni.

Un ufficiale di PG diligente seguirà le norme del codice di rito e della normativa correlata (art.103 dpr 309/1990) perché è un suo preciso dovere e non hanno pregio le interferenze amministrative sulla praticabilità delle operazioni di Polizia.

Perché i Carabinieri durante il controllo degli arresti domiciliari agiscono d’iniziativa; il poliziotto addetto alla portineria procede di rito alla perquisizione del semilibero.

In entrambi i casi si informa il PM di turno che disporrà l’arresto e la conduzione – o permanenza – in carcere

L’unica variante – francamente incomprensibile – è quella della vicenda dei colloqui.

Magari si arresta il familiare – su disposizione del PM – ma il codice di rito verrà applicato in modo distorto: l’arrestato andrà nella stessa sezione del complice se l’istituto è di modeste dimensioni (ad es. Sondrio,  a discapito delle separazioni auspicate dall’art 94 disp att cpp ), il detenuto che ha ricevuto la droga non verrà arrestato ed il procedimento – per un reato che prevede l’arresto obbligatorio in flagranza – sarà a piede libero……

Dopo dieci giorni il detenuto viene scarcerato per scadenza dei termini della custodia cautelare del titolo originario di detenzione, con buona pace dei principi di obbligatorietà dell’azione penale e della legge penale.

 Esse due è un detenuto semilibero. Al rientro in istituto durante i prescritti controlli  viene trovato in possesso di 120 gr. di hashish.

Abbiamo prospettato tra esempi  che hanno come tratto comune la Polizia giudiziaria da un lato e soggetti sottoposti alla privazione della libertà personale dall’altro.

I quantitativi di droga sono gli stessi 

L’obbligo di riferire al PM di turno il fatto è altrettanto identico.

Vediamo i risvolti operativi nella prospettiva dei doveri della Polizia giudiziaria in caso di arresto (il fermo lo esamineremo nella prossima sessione) e facciamolo partendo da una considerazione preliminare:

il codice di procedura penale attribuisce al giudice il potere di applicare una misura cautelare attraverso un provvedimento (ordinanza) che ha effetti permanenti sul soggetto che viene sottoposto ad una limitazione della libertà personale.

Tuttavia la Polizia giudiziaria, in situazioni d’urgenza, ha il potere/dovere di disporre misure coercitive temporanee (arresto o fermo) e questo perché la Polizia – soprattutto quella di prossimità – è l’organo maggiormente presente sul luogo dei delitti.

La Polizia di prossimità (ad es. il poliziotto di quartiere, il carabiniere di quartiere) ha il compito di stabilire un contatto con i cittadini cui eroga sicurezza.

Il quartiere è un agglomerato urbano così come lo è una sezione detentiva o un carcere (in fondo è una formazione sociale radicata sul territorio dello stato in un ambito circoscritto ).

Quindi, dire che i poliziotti penitenziari attendono a compiti di Polizia di prossimità è esatto.

Tuttavia, non si comprende perché le misure precautelari (l’arresto) in ambito penitenziario trovino limitata applicazione, se riferite ad un soggetto già detenuto per altra causa.

Prendiamo l’ipotesi dei Carabinieri che procedono al controllo del detenuto agli arresti domiciliari. Questa attività è sovrapponibile al controllo in cella di un detenuto in custodia cautelare. 

Ora la presenza “irregolare” di una persona nell’abitazione legittima ( e per certi versi impone altrimenti che controllo è ) un approfondimento investigativo.

Cosa ci fa Beta a casa di Alfa?

Bene, invece della casa pensiamo ancora una volta a una cella: il poliziotto penitenziario vede lo “spesino” nella cella di un altro detenuto e si insospettisce.

Cosa deve fare?

Secondo il codice di procedura penale e in virtù delle sue prerogative può procedere – con l’ausilio del preposto – ad una perquisizione ex art.103 tulps ma…..attenzione, perché se l’esito dovesse rivelarsi negativo c’è la scure della raccomandazione del garante – recepita dal Dap – che subordina la praticabilità delle perquisizioni straordinarie a precise procedure. Ed allora cosa si fa?

Difficile dirlo, perché il codice è chiaro e inequivocabile, ma la gestione “disciplinare” del personale è ondivaga.

Se la perquisizione ha esito negativo si potrebbe “ sospettare” un abuso dell’agente (che ha fatto il suo dovere), viceversa se dovesse poi diffondersi la droga si imputa all’agente un omesso controllo, con conseguente responsabilità disciplinare.

Ed allora restiamo sul codice e lasciamo ad ognuno la decisione sul come agire.

Sicuramente la presenza dello “spesino”  va relazionata per iscritto ai sensi degli artt. 24 e 26 dpr 82/1999 per eventuali determinazioni da parte della Direzione.

Ma questa non è attività di PG in senso stretto perché la PG dipende funzionalmente dal PM ai sensi dell’art.109 Cost.

La soluzione sarebbe quindi quella di riferire immediatamente al superiore gerarchico la circostanza, fare una annotazione di PG ed attendere determinazioni.

Un ufficiale di PG diligente seguirà le norme del codice di rito e della normativa correlata (art.103 dpr 309/1990) perché è un suo preciso dovere e non hanno pregio le interferenze amministrative sulla praticabilità delle operazioni di Polizia.

Perché i Carabinieri durante il controllo degli arresti domiciliari agiscono d’iniziativa; il poliziotto addetto alla portineria procede di rito alla perquisizione del semilibero.

In entrambi i casi si informa il PM di turno che disporrà l’arresto e la conduzione – o permanenza – in carcere

L’unica variante – francamente incomprensibile – è quella della vicenda dei colloqui.

Magari si arresta il familiare – su disposizione del PM – ma il codice di rito verrà applicato in modo distorto: l’arrestato andrà nella stessa sezione del complice se l’istituto è di modeste dimensioni (ad es. Sondrio,  a discapito delle separazioni auspicate dall’art 94 disp att cpp ), il detenuto che ha ricevuto la droga non verrà arrestato ed il procedimento – per un reato che prevede l’arresto obbligatorio in flagranza – sarà a piede libero……

Dopo dieci giorni il detenuto viene scarcerato per scadenza dei termini della custodia cautelare del titolo originario di detenzione, con buona pace dei principi di obbligatorietà dell’azione penale e della legge penale.

By Magile

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Redazione OSAPPoggi

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