Il Dap dispone accertamenti sulla strana visita a D’Elia della ex 5S Cunial e di due emissari Usa. Il ruolo di Taormina.
Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha avviato un accertamento interno. Il ministero della Giustizia vuole vederci chiaro sulla vicenda degli americani entrati senza autorizzazione nel carcere di Salerno, dieci mesi fa, per “interrogare” Arturo D’Elia, il 39enne hacker italiano dei misteri.
Il giorno dopo la ricostruzione di Repubblica, si muove il capo del Dap, Dino Petralia. Che “chiede dettagli” alla direzione del penitenziario di Fuorni, guidata da Rita Romano, sulla visita avvenuta il 19 gennaio 2021. La circostanza della singolare incursione è stata confermata al nostro giornale dall’avvocato di D’Elia, Nicola Naponiello: “I due soggetti entrarono con la deputata Sara Cunial, provarono a fare domande sulle elezioni americane. Il mio assistito si spaventò, segnalai tutto ai pm”. Storia che oggi conferma lo stesso hacker, condannato a Napoli per aver penetrato i sistemi di sicurezza informatica di Leonardo Spa, pilastro della Difesa italiana (primo azionista il ministero dell’Economia e Finanza). Una storia di spionaggio industriale e intrighi internazionali.
Dieci mesi dopo, mentre la Procura di Napoli ha inviato per competenza gli atti – con questa e altre presunte violazioni – a Roma, si apprende che quel giorno il carcere registrò come visitatrice la sola deputata Cunial, oggi nel Misto, già espulsa dal M5S (nota per il radicalismo No Vax).”Ingresso ore 11, uscita 13″: non vi sarebbe traccia dei 3 accompagnatori. Possibile? Tra loro un avvocato che si presentava come vicino a un dirigente della Difesa Usa.
D’Elia è oggi un uomo a piede libero, ma ha già collezionato una sentenza a 1 anno e 4 mesi per un’incursione informatica in una base Nato; e, lasciato il carcere di Salerno, ha patteggiato a Napoli quella condanna a 3 anni e 4 mesi per aver spiato i 100mila file di Leonardo Spa. L’arresto era scattato nel dicembre 2020, e nei guai era finito anche Antonio Rossi, il collega accusato di coprirlo: per il quale comincia il 30 novembre il processo per depistaggio. Nel colosso italiano D’Elia era approdato grazie alla raccomandazione di un allora senatore di Fi, l’avvocato Franco Cardiello. Che, strano a dirsi, nelle prime fasi dell’inchiesta, è stato anche suo difensore. “Ma non c’è nulla da spiegare. Non vedo D’Elia da oltre un anno. È vero, lo segnalai a un amico: era bravissimo, lo presero. Non so altro”, taglia corto l’ex senatore con Repubblica.
L’indagato affida poi la difesa a Naponiello. Ed è quest’ultimo a ricevere l’Sos dal carcere sui due americani in visita. In quei giorni, il nome di D’Elia compare in centinaia di siti anche esteri. Perché negli Usa, dopo la sconfitta di Trump, dilaga la teoria complottista sul ruolo che avrebbe avuto l’Italia e in particolare quei due arrestati in Campania. Addirittura avrebbero dirottato i voti con i satelliti? “Italy did it”, è una scritta che campeggia, nell’inferno di Capitol Hill. È il 6 gennaio: la nostra ambasciata a Washington allerta la Farnesina. Nelle stesse ore, il Pentagono pretende di mandare qualcuno a sentire “gli indagati italian”.
A complicare le cose, solo una settimana dopo, ecco le singolari rivelazioni di un avvocato siciliano, Alfio D’Urso, che sostiene di aver ricevuto una piena confessione da D’Elia, “una testimonianza giurata”, cioè una lunga lettera in cui spiegherebbe il suo ruolo. Tutto falso, replica ora il superhacker. L’unico fatto reale sembra proprio la “missione” di due addetti americani che entrano, come fantasmi, in un penitenziario del Sud Italia. E nessuno sa come, né perché.
Fonte: repubblica.it