Erano il terrore dei quartieri della Roma bene: dai Parioli all’Olgiata, passando per Eur, Cassia e Fleming, tutti avevano paura di loro. I ragazzi del bar Paquito di via Coribanto, i ‘coatti’ della periferia che sembravano usciti dal film ‘Arancia meccanica’, tra il 1979 e il 1983 hanno messo a segno circa 700 rapine. Per un totale di quindici miliardi di vecchie lire. Gioielli, pellicce, soldi, orologi: roba che si rivendeva facilmente e che avrebbe fruttato subito un introito. A capo della banda, l’Arancia Meccanica di Torre Angela, c’era un ex poliziotto, Agostino Panetta. Entrato nella celere a 18 anni era stato spedito a Torino: è qui che ha cominciato con le prime rapine, mettendo a frutto la (poca) esperienza accumulata come agente. Accanto a lui, Maurizio Verbena e Giuseppe Leoncavallo. Altri ancora graviteranno intorno al gruppo e parteciperanno alle rapine: ma solo Verbena e Leoncavallo erano quelli vicini a Panetta. I suoi consiglieri, i due di cui si fidava di più. Per anni non furono catturati, continuando a seminare il panico nella capitale. Tra le loro vittime, anche personaggi famosi: tra i più noti, l’attore Fabio Testi (sequestrato in casa insieme alla moglie incinta di sei mesi) e il cantante Peppino Di Capri.
Nato nel 1959, Agostino Panetta è il figlio di un poliziotto. E forse è anche per questo che a 18 anni decide di entrare nella Polizia di Stato. Viene mandato a Torino, nel reparto celere. Ma quel lavoro non fa per lui: ed è proprio a Torino, mentre lavora come poliziotto, che comincia a commettere le prime rapine. Aggredisce poche persone alla volta, a piedi, con uno massimo due complici. Nella prima rapina, commessa insieme a due ex poliziotti ai danni di un ignaro passante, portano via 300mila lire e un orologio d’oro. Era il 3 gennaio 1979. Dopo un po’ di tempo, e circa dieci rapine, capisce di poter fare i soldi senza lavorare: lascia la polizia e torna nel suo quartiere natale, Torre Angela. Alla fine del 1979 Agostino Panetta diventa il punto di riferimento per i criminali del quartiere: la sede, il bar Paquito di via Coribanto. Ed è qui che incontrerà poi Leoncavallo e Verbena, i due che diventeranno parte fondante di quella che sarà ricordata come la banda dell’Arancia meccanica.
Le rapine avvengono sempre nei quartieri della Roma bene, forse perché la banda sa di rimediare sempre qualcosa in questi casi. Le modalità sono sempre le stesse: individuazione di un passante, inseguimento, botte e minacce in un luogo isolato dove nessuno possa sentire le richieste di aiuto. Spesso commettono diverse rapine in una notte: i bottini racimolati in strada sono esigui, poca roba rispetto a quello che potrebbero fare entrando nelle abitazioni. E così, dopo un po’, la banda decide di fare il salto e nel 1981 a essere presi di mira sono i lussuosi appartamenti e le ville dei quartieri ricchi. Per anni le forze dell’ordine non sono riusciti a catturarli: molte persone hanno cambiato zona, andandosene proprio perché avevano paura di essere presi di mira dalla banda dell’Arancia meccanica. Che non si limitava a rubare soldi, gioielli e poi andarsene. Ma si fermava tutta la notte a banchettare e fare i propri comodi nelle abitazioni altrui, picchiando e terrorizzando le vittime, devastando le loro case. Diverse le donne che hanno accusato Panetta e i suoi di stupro.
L’arresto per Panetta e i suoi arriva nel 1983. Dopo una rapina ai Parioli dicono alle loro vittime di aver intenzione di tornare nella zona. E così hanno fatto. Solo che stavolta, ad attenderli, c’erano i carabinieri. Era il 16 aprile: Panetta e Leoncavallo vengono arrestati subito, mentre Verbena riesce a fuggire all’estero. Viene arrestato un anno dopo in Australia, a Perth. Nel 1986 comincia il processo, uno dei più grandi di quegli anni con 59 imputati e 279 parti lese. Panetta e Verbena decidono di ‘pentirsi‘ e raccontano tutto: fanno nomi, accusano persone, fanno arrestare i loro ex complici. L’ex poliziotto si presenta addirittura in aula con un’agenda per raccontare tutti i crimini della banda. Anzi, è addirittura compiaciuto di avere un palco e l’attenzione tutta per lui. L’unico che decide di non parlare è Leoncavallo.
L’avvocato di Panetta cerca di puntare sull’infanzia difficile avuta dal ragazzo, il cattivo rapporto con il padre e l’esistenza travagliata. Ma i giudici non si lasciano commuovere, né tengono conto del suo pentimento. E decidono di condannare i tre dell’Arancia meccanica a una pena esemplare. Agostino Panetta viene condannato in primo grado a ventitré anni di reclusione, Giuseppe Leoncavallo a ventidue, mentre Maurizio Verbena a diciotto. Nonostante al momento dell’arresto Panetta confessò sette stupri, venne assolto dall’accusa di violenza sessuale. Esce dal carcere durante gli anni ’90, ma non se ne tiene lontano per troppo tempo dato che alcuni anni dopo viene condannato anche per traffico di droga. Nel 1998 il regista Claudio Caligari crea un film ispirato alle vicende della banda: ‘L’odore della notte’.
Fonte: fanpage.it
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