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L’avvocato non può telefonare al detenuto al 41bis dal proprio studio legale

Per la Cassazione, il difensore del detenuto al 41 bis è sottoposto a limiti anche quando deve interloquire telefonicamente con il suo assistito.

Corretta la regola che impone al difensore del detenuto al 41 bis di dover contattare telefonicamente il proprio assistito dall’istituto penitenziario più vicino al suo domicilio o al suo studio.

I limiti sono funzionali ad accertare l’esatta identità dell’interlocutore e a garantire la sicurezza pubblica e la prevenzione dei reati. Importanti chiarimenti forniti dalla sentenza n. 38031/2021 della Corte di Cassazione.

La vicenda processuale

Il Tribunale conferma la decisione del Magistrato di sorveglianza, che ha respinto il reclamo proposto da un detenuto al 41 bis in quanto la normativa stabilisce che i difensori possono effettuare colloqui telefonici con i detenuti sottoposti a questo particolare regime carcerario solo se il professionista, preavvertito appositamente, si presenta presso l’istituto penitenziario più vicino al suo domicilio o studio legale. Occorre poi rilevare che questo limite è contenuta in una circolare, fonte di rango secondario, inidonea in quanto tale a derogare alla normativa primaria, che invece non prevede simili restrizioni.

L’imputato nel rivolgersi alla Corte di Cassazione solleva i seguenti tre motivi:

  • Con il primo lamenta violazione della Costituzione perché il divieto di comunicazione telefonica tra detenuto al 41 bis e avvocato non è funzionale alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica che sono state addotte come motivi di adozione della regola. Occorre poi rilevare che questo limite è contenuta in una circolare, fonte di rango secondario, inidonea in quanto tale a derogare alla normativa primaria, che invece non prevede simili restrizioni.
  • Con il secondo invece sostiene che l’esigenza di verificare l’identità esatta dell’interlocutore del detenuto al 41 bis, può essere soddisfatta con cautele alternative come la telefonata dal centralino dell’istituto penitenziario, registrata e inviata allo studio legale e al Consiglio dell’ordine del difensore.
  • Con il terzo infine ritiene che detta regola violi la CEDU visto che la Corte di Strasburgo ha riconosciuto il diritto dell’accusato di poter comunicare in modo riservato con il proprio difensore.

Limiti giustificati dalla necessità di garantire la sicurezza pubblica

Per la Cassazione, che esamina i tre motivi congiuntamente, perché connessi, il ricorso è infondato.

Vero infatti che la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 41 bis, comma 2 quater lettera b) nella parte in cui pone limitazioni al diritto del detenuto di avere colloqui con il proprio difensore, tale pronuncia però non ha inciso sulla possibilità di porre limitazioni in presenza di esigenze specifiche e particolari, per la necessità, come chiarito sempre dalla Consulta, di rispettare altre necessità connesse al regime detentivo stesso.

Per quanto riguarda poi la questione dei rapporti tra le fonti, la Cassazione precisa che le modalità in cui può essere esercitato il diritto di colloquio del detenuto con il proprio difensore può essere regolamentata anche da una fonte secondaria, nel rispetto della cornice della fonte primaria. Limiti che nel caso di specie sono rispettati.

Corretto richiedere al difensore di recarsi presso un istituto penitenziario vicino al proprio domicilio o al proprio studio legale per poter comunicare con il suo assistito al 41 bis. In questo modo si garantisce l’esatta identità dell’interlocutore e si evita la possibile sostituzione di persona da parte di terzi.

Il disagio che viene recato al difensore è giustificato dalla necessità di tutelare valori primari come la sicurezza pubblica e la prevenzione reati.

 

 

 

Fonte: studiocataldi.it

 

 

 

 

Redazione OSAPPoggi

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