È vero che non dovrei esprimere giudizi di natura “politica” per non ritrovarmi imbrigliato nel sistema delle griglie ideologiche e semmai, forte di dati, statistiche e raffronti tra il vecchio e il nuovo, acclarata l’ineluttabilità degli eventi tracciare, magari verso la fine della Legislatura, la linea di demarcazione tra il successo e il fallimento dell’attuale Amministrazione penitenziaria centrale, il Dap(Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) per l’appunto.
Invece, non mi limito ad osservare e penso che prima del tracollo, che reputo imminente, qualcosa vada fatto e detto.
D’altra parte, di una cosa si è certi, perché è la storia che ce lo insegna, tra le tante critiche e accuse al governo, prime fra tutte quelle sul PNRR e sui rapporti con la UE, succeda quel che succeda, nessuno taccerà mai l’Esecutivo di sbagliare nella gestione del sistema penitenziario qualora ometta di delineare le principali linee di azione per affrontarne le gravi emergenze e non immagini altro che le pluridecennali solfe delle comunità per tossicodipendenti in luogo delle celle negli istituti di pena, oppure dell’espatrio per i detenuti stranieri in Italia acché scontino la pena nei paesi di provenienza, o anche della costruzione (ovviamente senza personale aggiuntivo) di nuove carceri, forse, attraverso non meglio specificate società a partecipazione mista.
Premetto ulteriormente, perché mi è doveroso farlo, che quello che scrivo riguarda il mio pensiero e sempre sarà così, liberi tutti gli altri di condividerlo o meno e se del caso di disapprovarlo ed è solo in tale prospettiva che proseguo nell’intento.
Il sistema penitenziario in Italia coinvolge direttamente non meno di 100mila soggetti ed una spesa che tra fondi del bilancio dello Stato e contributi vari ascende a circa di 4 miliardi di euro l’anno.
Al centro della gestione delle ingenti risorse umane ed economiche del sistema (senza considerare la più esigua Giustizia Minorile) il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – o Dap, attraverso un capo dipartimento con propri segreteria e uffici ed in media avvicendato ogni 2 anni, un vice capo dipartimento (in passato 2), attualmente 3 direzioni generali, che presto saranno 4 e fra un po’ 6 (in passato anche 5 – sic!) e, sarà forse irriguardoso affermarlo, però occorre valutare che, a fronte della quarantennale immobilità ordinamentale in particolare nei confronti del personale e dell’utenza, ad eccezione della Gozzini del 1986 e della Riforma della Polizia penitenziaria del 1990, nell’ambito dell’organizzazione e dei conseguenti ben retribuiti incarichi non sono mancati gli esperimenti ed i ripensamenti, non nelle persone quasi sempre le stesse in varia veste, ma nelle articolazioni nel tempo inadeguate e poi se del caso riproposte identiche, a riprova della annosa incertezza “culturale” che affligge la politica quando si tratta del carcere.
Anche Il governo Meloni, di cui non va dimenticato fanno parte, due su tre, formazioni che già appartenevano alla coalizzazione a sostegno del governo Draghi, rifuggendo qualsiasi spoil system, tranne per quello che riguarda il vertice massimo, ha scelto di mantenere al loro posto tutti i maggiori responsabili dell’Amministrazione secondo la consolidata logica dell’ancien regime democristiano che insegnava come, in luogo di pericolose novità, fosse assai meglio rivolgersi a chi sa già come superare gli ostacoli alle particolari necessità della politica e che, ancor più grato che in precedenza, saprà aderirvi con abnegazione.
Identiche modalità per il vicecapo del Dap la cui scelta che si concretizzerà entro qualche giorno riguarderà Lina Di Domenico, persona di indubbia simpatia e già destinataria di tale incarico nella non fortunata stagione del binomio Bonafede-Basentini.
Quindi al Dap delle 100mila persone e dei 4 miliardi di euro l’anno, che oggi più di ieri avrebbe l’esigenza di cambiamenti efficaci per fronteggiare una popolazione detenuta gravemente intemperante e, stanti le ingerenze anche interne delle criminalità organizzate, di arduo recupero nel dopo pena, nonché per restituire dignità e speranza al personale, in particolare di Polizia penitenziaria che paga in prima persona errori, inadeguatezze del sistema e colpe di apparato, deluso tanto da auspicare l’immediato abbandono al proprio destino dell’Amministrazione, solo vecchie versioni del potere e delle scelte, vecchi personaggi ed in conseguenza vecchie idee, per mantenere più che migliorare ciò che potrà solo peggiorare giorno dopo giorno.
LEO BENEDUCI
Segretario Generale OSAPP – Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria