In quanto a confusione al Dap non si/ci fanno mancare alcunchè.
Arriva un nuovo direttore in un carcere del Nord, assegnato dal Dap e peraltro già noto, che tenta di applicare una delle ultime circolari, in particolare emanata a firma dall’ex Capo dell’Amministrazione penitenziaria Carlo Renoldi riguardante il ripristino post-Covid 19 delle ordinarie e non più eccezionali condizioni di vita e di funzionamento, nello specifico in ordine al numero di telefonate (e/o di video-chiamate) consentite ai detenuti e per le ore di socialità esterna alle celle detentive, ovviamente, di durata e numero inferiori a quelle durante la pandemia.
Pressoché immediatamente i detenuti protestano, circa 300 detenuti in “rivolta” scrivono i giornali ma in realtà non oltre il centinaio, con conseguente massiccia mobilitazione di uomini e mezzi, all’esterno degli altri Corpi (sottratti alle normali attività di tutela dell’ordine e della sicurezza e di prevenzione sul territorio) e, all’interno, della Polizia penitenziaria con tanto di permessi, congedi e smontanti revocati e ore di straordinario da retribuire in più.
Arriva il Provveditore regionale e abroga le disposizioni del direttore, che poi erano quelle del Dap e tutto torna alla normalità… o quasi.
Difficile dire, in conclusione, se la “colpa” sia del direttore, del Provveditore regionale o del Dap, anche perché non sappiamo come la pensi l’attuale capo Giovanni Russo insediatosi da quasi tre mesi e di cui si hanno notizie meno che frammentarie, benché si immagini che tra Provveditore e vertici dell’Amministrazione penitenziaria centrale un qualche preventivo contatto debba pur esserci stato.
Peraltro e senza tralasciare la circostanza che i Poliziotti penitenziari della struttura siano veramente arrabbiati e delusi dal fatto che nella gestione del sistema penitenziario (che riguarda anche la sicurezza dei cittadini) ci si pieghi troppo spesso, come fuscelli al vento, a qualsiasi desiderata o strillo dei detenuti e nella sostanza a quasi esclusivo discapito del personale, il problema vero è però di diversa natura e riguarda le capacità professionali di chi dispone in ambito locale come in ambito nazionale, perché nel carcere non è possibile passare dall’oggi al domani, dal massimo per non dire eccessivo permissivismo (concessivismo) all’altrettanta estrema chiusura di quelli che i reclusi ritengono essere ormai diritti “acquisiti”.
Nel contempo, nel carcere i cambiamenti, a volte conseguenza di normative estemporanee alla realtà penitenziaria ma più spesso frutto di alternanze di opinioni e di indirizzi politici cangianti quanto improvvisati, vanno governati con la massima attenzione e nei tempi dovuti attraverso un costante contatto tra il centro e il territorio la cui assenza, al pari del mancato costante aggiornamento delle direttive impartite, costituisce la principale causa del permanente disservizio del sistema.
LEO BENEDUCI