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LEO BENEDUCI – Le assenze del capo dell’Amministrazione penitenziaria: presupposti e implicazioni

Sono trascorsi più di 140 giorni dall’insediamento, altri 23 mesi potrebbero trascorrere prima del pensionamento e l’avvento al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di Giovanni RUSSO già procuratore aggiunto e vice di Giovanni MELILLO alla Procura Nazionale Antimafia potrebbe essere tra i più silenziosi e anonimi della storia inaugurata da Nicolò AMATO nel 1990.

Di fatto, a parte un primo affollato incontro con le Organizzazioni sindacali il 26 gennaio e qualche sporadica apparizione, Giovanni RUSSO ben pochi non direttamente coinvolti nella gestione dell’Amministrazione hanno avuto modo di incontrarlo.

Di lui,  inoltre, si dice che riceva da pochi e fidatissimi collaboratori dettagliati resoconti  su quello che accade e che anche sulla base delle deleghe esistenti, con una certa propensione per i dirigenti del Corpo da cui è più facile attendersi un “signorsì”,  assuma le proprie decisioni senza mai, peraltro, essere più di un nome che aleggia tra i corridoi del Dap e di certo gli occorre una notevole dose di coraggio (incoscienza?), con  tutto quello che di negativo succede ogni giorno nelle carceri e alla Polizia penitenziaria, per riuscire ad essere il capo di tutto senza entrare in prima persona  nel merito di niente, sempre escludendo qualsiasi diretto rapporto con i protagonisti dei fatti e con e con chi se ne doglia o li rappresenta.

A questo punto, quindi, tra le tante domande viene da chiedersi, prima di ogni altra cosa, se il metodo, invero inconsueto, dell’esserci senza esserci e forse, persino, temendo di esserci, instaurato da RUSSO al Dap sia connaturato al personaggio o sia frutto di esperienza e studio.

Per quanto ne sappiamo e comprendiamo la risposta non può essere che la seconda: il palazzo del potere dell’Amministrazione penitenziaria a Largo Daga è come un porto delle nebbie, troppe chiacchiere, troppa confusione nei ruoli, troppe incombenze inutili e dispendiose e troppe faide ancora da consumarsi in cui è facile perdersi per poi pagarne, anche in termini di immagine e quale capro espiatorio in prima persona, meglio assistervi lontano da coinvolgimenti e nel frattempo assestare un colpo qui e un colpo là, la segreteria generale presto, i detenuti poi, magari i beni e servizi e, politica permettendo, il personale benché  23 mesi con questi ritmi siano davvero pochi per mettere le persone “giuste” al posto giusto, a meno di eventuali future proroghe tant’è che le malelingue (sempre del Dap) dicono che in quel terzo piano già si strizzi l’occhietto alla Sinistra per quanto riguarda i detenuti.

A dire il vero, però, le considerazioni fino a qui sviluppate non ci soddisfano del tutto.

Come riesce un capo dell’Amministrazione penitenziaria a non parlare MAI con i Sindacati e a non cercare MAI di instaurare una qualche empatia con il personale e persino a non presenziare ad alcuni dei più importanti eventi che riguardano l’Amministrazione? Possibile che a via Arenula, a partire dal Guardasigilli NORDIO che lo ha nominato, qualcuno non trovi tutto ciò insolito e potenzialmente pericoloso, soprattutto nella prospettiva del gradimento elettorale della compagine governativa (ad esempio alle elezioni europee del 2024)  rispetto alle scelte o alle non scelte in ambito penitenziario?

Anche rispetto a tali domande non possiamo che considerare come l’apparenza possa risultare ingannevole e quanto, invece,  le possibili risposte debbano essere le più immediate e semplici.

Non parla con i Sindacati perché negli ambiti da cui proviene il sindacato non c’è e nessuno nell’attuale incarico gli ha spiegato che è necessario farlo, tenuto anche conto che nelle logiche prevalenti negli attuali Dap e via Arenula, che qualcuno invece potrebbe avergli illustrato, i Sindacati, soprattutto se di Polizia penitenziaria, mirano più che altro alla “caciara” (sono tigri di carta direbbero in Cina)  ed a privilegiare i propri interessi  piuttosto che quelli della Categoria.

Non provoca empatia e non ricerca gradimenti nel personale perché gli addetti alle carceri nel Paese sono soprattutto esecutori di ordini e anche dal punto di vista elettorale non hanno mai rappresentato una forza compatta e capace di coalizzarsi per ottenere un qualche risultato, ben diversamente dai detenuti che hanno al loro fianco organi di garanzia,  associazioni, organi di informazione e qualche forza politica.

Tutto facile e scontato, quindi, almeno per i prossimi due anni? Non proprio perché le condizioni delle carceri sono in perenne e drammatica evoluzione e ci attende un’Estate quanto mai problematica ed incerta in cui le evidenti e gravi carenze ed insufficienze del Dap di oggi possono costituire l’inarrestabile baratro di domani, speriamo senza che se ne debba pagare un prezzo eccessivo a parte gli incarichi di qualche vertice amministrativo.

LEO BENEDUCI

Redazione OSAPPoggi

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