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Lettera aperta al ministro della Giustizia Marta Cartabia: “Lo Stato non sia complice dei boss mafiosi assassini sanguinari”

Gentile Ministro Marta Cartabia
con questa lettera aperta sono ad esprimere alcune considerazioni in materia della riforma che presto il Parlamento, ed il Governo che anche lei rappresenta, dovrà adottare in materia di regime carcerario e permessi premio, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale dello scorso 15 aprile in cui si afferma che la disciplina dell’ergastolo ostativo, espressa nell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario in cui si vieta di liberare i boss stragisti condannati all’ergastolo, se non collaborano con la giustizia, “è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.
Nelle motivazioni dell’ordinanza n. 97, la Consulta ha stabilito di “rinviare la trattazione delle questioni a maggio 2022, per consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi”.
A lungo abbiamo atteso le sue parole perché da quando è divenuta ministra della Giustizia, lei di mafia ha parlato poco o nulla.
E’ per questo che, come tanti giornalisti ed addetti ai lavori, abbiamo seguito con interesse il suo discorso davanti alla Commissione parlamentare antimafia presieduta da Nicola Morra.
Prendiamo atto delle sue parole, che hanno dimostrato un ascolto anche delle argomentazioni mosse dalla società civile e dai familiari vittime di mafia, sull’importanza della legge sui collaboratori di giustizia (“La norma sui collaboratori di giustizia è una norma da preservare. Anche se comprendo benissimo come possa rinnovare un dolore mai sopito, nei familiari delle vittime, la notizia della scarcerazione di chi, come Giovanni Brusca, ha attivamente partecipato all’attacco di Cosa Nostra allo Stato, nella stagione delle stragi, e di tantissimi altri efferati delitti, a cominciare da quello del piccolo Giuseppe Di Matteo).

Le estradizioni necessarie
E abbiamo anche accolto con positività il dato per cui qualcosa si stia muovendo nel governo con la richiesta di estradizione del boss di ‘Ndrangheta Rocco Morabito e in riferimento ai rapporti con gli Emirati Arabi Uniti, dove è tutt’ora latitante l’ex parlamentare Amedeo Matacena (condannato definitivo per concorso esterno in associazione mafiosa).
Abbiamo anche ascoltato la sua puntualizzazione sul dato per cui l’accesso ai benefici penitenziari sarebbe precluso ai detenuti al 41 bis in quanto dopo la decisione della Corte Costituzionale del 2019 sui permessi premio, nessuno avrebbe usufruito di quei benefici, ma non ci sono affatto piaciute le sue parole sull’ergastolo ostativo, con l’invito al Parlamento di “non mancare l’occasione di raccogliere l’invito della Corte costituzionale”.
Perché anche se si prevedono “procedure e condizioni diverse, più rigorose, rispetto a quelle applicabili agli altri detenuti” comunque offrire una possibilità di liberazione condizionale e altri benefici penitenziari a quelle figure che hanno commesso reati connessi alla mafia è un’apertura (in altri tempi c’è chi l’avrebbe chiamato “segnale di distensione”) che non si può accettare in alcun modo.
Da queste considerazioni, amaramente, dobbiamo constatare una sua conoscenza del fenomeno criminale mafioso abbastanza scarsa, se non mediocre.
Da anni la politica ed i governi hanno sottovalutato in forma grave Cosa nostra, la ‘Ndrangheta e la Camorra. Parliamo di organizzazioni criminali, in particolare la mafia siciliana e quella calabrese, che possono essere considerate come le organizzazioni criminali più potenti del mondo. Del resto esistono e resistono da oltre 150 anni e diventano sempre più internazionali con la gestione del traffico internazionale di stupefacenti e l’investimento di ingenti capitali nell’intera economia mondiale.
Ma non c’è solo questo aspetto che ci preoccupa.
Perché siamo qui a spiegare, ancora una volta, il motivo per cui non ci possono essere margini per una scarcerazione di qualsiasi capo mafia.

La forza della mafia
Basta leggere l’ordinanza sentenza del Maxi Processo scritta da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma anche le considerazioni che lo stesso Falcone esprimeva a Marcelle Padovani (Cosa di Cosa nostra), cosa che la invitiamo a fare qualora non avesse avuto modo, per comprendere che la mafia non è un’organizzazione criminale come le altre.
Nell’ordinanza sentenza scritta dai due giudici palermitani, uccisi nel 1992, viene lasciata in eredità allo Stato italiano (che nel corso degli anni si è dimostrato nella migliore delle ipotesi pigro, e nella peggiore complice della mafia) una profonda conoscenza sulla struttura mafiosa e sulle regole ferree che ne hanno caratterizzato decisioni e comportamenti.
In quelle carte è scritto che Cosa nostra è un’organizzazione criminale unica, unitaria e verticistica e che quando si entra a far parte della stessa, giurando fedeltà, l’unico modo per uscirne è o attraverso la morte o collaborando con la giustizia.
E’ anche da questi principi che Giovanni Falcone si è basato per ispirare quella serie di provvedimenti che saranno approvati, di fatto, soltanto dopo la propria morte.
Negli anni successivi, inchieste e processi ci hanno dimostrato in maniera chiara che i mafiosi giurano fedeltà perpetua all’associazione; chi non si pente conserva per sempre lo status di “uomo d’onore”.
Ed è sempre provato da decine e decine di indagini che i mafiosi che finiscono il proprio periodo di detenzione, una volta usciti, tornano esattamente ad occupare il posto che avevano in precedenza all’interno dell’organigramma mafioso. Anzi, addirittura lo fanno con un curriculum potenziato, proprio in virtù del silenzio mantenuto in carcere.
Il mafioso è vissuto e vive per praticare un metodo di intimidazione, assogget­tamento e omertà capace di dominare parti consistenti del territorio nazionale e momenti significativi della vita politico-economica del Paese. In questo modo contribuisce in maniera concreta e decisiva a creare tutta una serie di osta­coli di ordine economico e sociale, che limitano fortemente la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana.
Ma vi è anche un altro aspetto che merita un approfondimento.
Perché lei ha tenuto a precisare il dato per cui chi si trova al 41 bis, ad oggi, non ha avuto alcun accesso a permessi premio non ci rincuora nel momento in cui figure come Filippo Graviano (boss stragista) hanno già espresso la propria “dissociazione” da Cosa nostra ai magistrati.
Non solo. La Corte europea dei diritti dell’uomo da tempo chiede all’Italia di modificare ancora il 41 bis (che non è più quello veramente duro del tempo delle stragi).

No cedimenti
Per questo, riteniamo, che lo Stato italiano debba rispondere in maniera forte contro i rischi che si stanno correndo a 29 anni dalle stragi in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Noi non dimentichiamo come l’abolizione di fatto della pena dell’ergastolo per i condannati per mafia, farebbe venir meno l’unico vero deterrente temuto dai mafiosi (e proprio la storia delle stragi ce lo ricorda) i quali sono da sempre rassegnati a dovere scontare anche lunghi anni di carcere come prezzo della propria carriera criminale, ma hanno sempre temuto l’ergastolo perché li priva per sempre del potere acquisito e della possibilità di godere delle ricchezze accumulate.
E non possiamo dimenticare che proprio l’eliminazione dell’ergastolo e del 41 bis era tra i punti del papello di richieste che Riina pretendeva dallo Stato per fermare quella lunga scia di sangue.
Lei, da ministro della Giustizia, da giurista, dovrebbe conoscere tutto questo.
Anche una minima apertura, di soli cinque minuti di libertà nelle proprie case, permetterebbe a pericolosissimi boss stragisti di compiere crimini efferati.
E lo Stato, quindi anche lei che lo rappresenta, rischia di diventare, ovviamente pensiamo senza volerlo, favoreggiatore o complice di pericolosissimi personaggi.
Sarebbe gravissimo se assassini come i Bagarella, i Graviano, i Madonia, i Santapaola, i Biondino, uscissero dal carcere, anche se sotto il regime della sorveglianza speciale.
Sono loro quei capi di Cosa nostra che oggi, assieme al superlatitante Matteo Messina Denaro, vengono visti come riferimento dall’organizzazione criminale.
Sono loro a poter dare ordini per nuove stragi ed omicidi, per stabilire strategie, corrompere, imporre il pizzo e vessare i cittadini.
Qualora ciò dovesse avvenire lo Stato si renderebbe di fatto complice. Una sorta di mandante esterno di ogni delitto che con certezza (basta leggere la storia passata e presente) verrà eseguito.
Proprio Giovanni Falcone, nei suoi scritti e nella sua ordinanza sentenza “Abbate +474”, ci ha insegnato quelli che sono i doveri dei boss, dentro e fuori dalle carceri; ad aver certificato l’importanza di ridurre gli spazi di libertà per i mafiosi all’interno delle carceri, affinché non abbiano la possibilità di comunicare con l’esterno e ad averci fatto comprendere che il mafioso rompe il vincolo con l’organizzazione criminale solo da morto o collaborando.
Quei nomi fatti in precedenza, Bagarella, Madonia, Graviano, Biondino, sono gli uomini di riferimento che hanno proprio con Matteo Messina Denaro un filo diretto.
In un modo o nell’altro un capomafia non può mai esimersi dall’esprimere la propria posizione sulle strategie da compiere dando disposizioni immediate sul territorio al popolo di Cosa nostra, su cosa si deve fare. Compreso se riprendere quelle stragi che furono sospese improvvisamente nel 1994.
Lei, dall’alto del suo ruolo politico, tutto questo non può non conoscerlo.
E quando esprime le proprie posizioni dovrebbe sempre tenere in considerazione questi fatti.
Se così non fosse dimostrerebbe di avere anche lei una visione quantomeno miope del fenomeno.
In Italia, giustamente, non c’è la pena di morte. Ma per tutto quello che abbiamo ricordato, tutti i boss, soprattutto gli stragisti, senza se e senza ma devono restare in carcere a meno che non decidano di cambiare vita, collaborando con la giustizia in maniera formale e dicendo tutto ciò che sanno non solo sui crimini di mafia, ma anche dei rapporti segreti che essa detiene con pezzi delle istituzioni, della politica, dell’economia e della finanza, consegnando allo Stato tutto il patrimonio che posseggono illecitamente.
Quindi si schieri a difesa dell’ergastolo ostativo senza ambiguità, remissioni, aperture o segnali di distensione. Altrimenti lei diventerà portavoce di quello schieramento politico che è disposto a cedimenti e che vuole i boss in libertà.
O in alternativa si dica apertamente, ma poi il governo dovrebbe spiegarlo agli italiani, che le leggi ispirate da Giovanni Falcone e dall’impegno di tanti magistrati, sono obsolete e superate.
Il Paese intero vi ascolta. E nel Paese c’è anche quel popolo della mafia che da un dito dato è pronta a prendersi un intero braccio.
Vi assumerete questa responsabilità?

di Giorgio Bongiovanni

 

 

 

Fonte: antimafiaduemila.com

Redazione OSAPPoggi

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