Due anni or sono, nella lunga ricerca di visibilità e riconoscimenti per la Polizia Penitenziaria, avevamo
inaugurato una prassi che ritenevamo vincente rispetto alle periodiche aggressioni subite dai Poliziotti
Penitenziari negli istituti di pena: non ci sarebbe più dovuto essere un evento violento in danno di un appartenente al Corpo senza che a ciò seguisse un comunicato stampa del sindacato, con la descrizione dei fatti, delle conseguenze per il personale e delle possibili responsabilità “politiche”.
Il tentativo era perciò quello di sensibilizzare l’opinione pubblica, gli enti territoriali, i partiti e magari le istituzioni rispetto a condizioni di lavoro che benché assolutamente inaccettabili da qualsiasi punto di vista le si volesse guardare, erano per lo più sconosciute alla maggior parte delle persone se non anche, qualche volta, oggetto di fraintendimenti e scherno legati alla particolare materia.
Tale strategia, che peraltro è tuttora in piedi per alcune realtà, non si è dimostrata del tutto azzeccata nel tempo, considerato che alle decine e centinaia di aggressioni sono seguiti e in alcuni casi ancora seguono decine e decine di comunicati stampa e che, alla fine, se da un lato negli organi di informazione, nell’opinione pubblica, come in tutto il resto si è constatata una sorta di assuefazione al fatto che i Poliziotti Penitenziari ricevano ogni giorno botte ed insulti in carcere, i reali destinatari di tale campagna di stampa, per le iniziative da intraprendersi, ovvero il Ministro della Giustizia (nelle persone del Ministro e degli eventuali Sottosegretari) e il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (nelle persone del capo, del vice capo e dei direttori generali) sono risultati immuni da qualsiasi influenza che ne comportasse attività migliorative se non addirittura impegnati a sminuire o negare del tutto quanto il sindacato andava affermando.
Confesso che posso persino comprendere che, abituati come siamo in Italia alle campagne di stampa al vetriolo finalizzate all’acquisizione di consensi elettorali o altro, il vedersi additati quali responsabili di non avere fatto o di non avere visto pur avendone la responsabilità oggettiva possa ispirare intenti “bellicosi”, ma le intenzioni, almeno le nostre, riguardavano solo l’esigenza di spronare all’azione concreta chi di dovere, tanto più necessaria ed urgente quanto più datati risultavano i problemi e più rischiose le condizioni in essere.
Ed invero il capo del Dap Basentini, almeno all’inizio, qualcosa la voleva veramente fare tanto da proporre, ad esempio, la costituzione per certe situazioni critiche nelle carceri di specifici gruppi di intervento costituiti da poliziotti penitenziari appositamente specializzati; ma in un sistema penitenziario “governato” dai garanti dei detenuti, qual è quello italiano, era pura illusione persino immaginarlo, così come era impossibile credere che l’attuale Amministrazione ovvero il Ministro Bonafede potessero accettare la proposta, di cui pure ci siamo fatti promotori più volte, che ogni qual volta un poliziotto penitenziario fosse risultato assente dal servizio per le conseguenze di un’aggressione subita venisse esercitata anche azione risarcitoria nei confronti dei responsabili per il danno economico conseguente allo stipendio erogato durante il periodo di convalescenza, come altre Forze di Polizia fanno per le aggressioni ai loro appartenenti.
Quindi e per concludere, visto che né il Ministero della Giustizia né il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria vogliono dedicarvi una qualche concreta attenzione, tenuto conto che direzioni degli istituti, in altre faccende affaccendate, per carità anche in ragione di problemi burocratici e di organico, non provvedono o lasciano del tutto scadere i procedimenti disciplinari a carico dei detenuti, visto che tutto quello che può interessare del carcere oggi in Italia attiene alle possibili percosse subite dai detenuti dagli agenti e non ai numerosi punti di sutura (questi sì reali e dimostrati) ricevuti dagli agenti magari a Lecce o a Benevento, tenuto che nel Paese l’unica autorità unanimemente riconosciuta in tema di sistema penitenziario è il Garante Nazionale dei detenuti che, notoriamente, non si è mai occupato del Personale ma di altro in senso letteralmente unico, chi realmente provvede e pensa ai Poliziotti Penitenziari, a parte il Servizio Sanitario Nazionale?
Ma lo sanno, a questo punto il Presidente della Repubblica Mattarella, o magari Papa Francesco (a cui rinnoviamo gli auguri di Buon Compleanno) che gli insulti e le botte non fanno parte dei rischi professionali del “mestiere” di Poliziotto Penitenziario nel cui stipendio, tra l’altro, non esiste alcuna voce o indennità che riconosca e copra tensioni o percosse subite?
LEO BENEDUCI