Rammento che mesi or sono, a fronte delle rivelazioni processuali riguardanti la morte di Stefano Cucchi (il 22 ottobre 2009) sulle responsabilità di alcuni appartenenti all’Arma dei Carabinieri, chiesi al capo del Dap Francesco Basentini di adoperarsi acché il Corpo di Polizia Penitenziaria, al pari della stessa Arma, potesse costituirsi quale Parte Civile. Il capo del Dap mi rispose che, dopo averne parlato con il Ministro, si era deciso per la non costituzione del Corpo. E’ probabile che oggi sia assai difficile comprendere il clima che si era creato nel 2009 e le ulteriori conseguenze per la Polizia Penitenziaria negli anni successivi: le scritte sui muri, le minacce, i furgoni assaltati a sassate, le manifestazioni e tutto il resto.
Certo ALLORA l’Amministrazione penitenziaria centrale si comportò in maniera intelligente e i 3 Poliziotti Penitenziari coinvolti non furono sospesi dal servizio, nonostante la gravità delle accuse, ma solo impiegati in altre mansioni e, quindi e in qualche misura, protetti dal linciaggio mediatico e da altro ancora.
Difficile che queste cose le comprendano oggi sia Basentini e sia Bonafede, anche se non per gli stessi motivi, soprattutto tenuto conto che molte delle attuali situazioni hanno preso piede proprio da quel periodo, se è vero come è vero che qualcuno ha affermato anche di recente che: “forse per Stefano Cucchi non è stata la Polizia Penitenziaria, ma per tutte le altre morti in carcere e per le percosse ai detenuti si…”.
Fatto si è che per il “caso” Cucchi nessuno ha mai chiesto scusa al Corpo, tranne un Carabiniere durante le udienze processuali e nessuno, probabile, le chiederà mai, a nessun livello.
Perché mi ritrovo su queste pagine a scrivere in questo modo?
Il motivo, oltre al ricordo del dolore provato in quei momenti, nel 2009, in cui, in ogni sede, dalla famiglia, agli amici, fino alle emittenti televisive, cercavo di difendere strenuamente e, per certi versi, vanamente l’immagine della Polizia Penitenziaria, è che quella sensazione di contatto con la “sporcizia” e la sostanziale “disonestà intellettuale” altrui, manifeste o latenti che siano, la vivo tuttora quando mi trovo a dovermi confrontare con ciò che il Poliziotti Penitenziari mi raccontano del loro quotidiano e delle dure pressioni che subiscono giornalmente.
Non sarebbero, infatti le tensioni “ordinarie” legate ai rischi del servizio ed alla pericolosità dei soggetti a fare maggiormente paura e a rendere angoscioso il lavoro nelle carceri, ma ciò che gli stessi detenuti comunicano “…farete la fine di quelli di San Gimignano…”, la sostanziale impunità e il potere che sembrano detenere, nonché le centinaia di soggetti che sul carcere risultano avere voce autorevole e che, pur non facendo parte del sistema, si dimostrano in grado di avere influenza su innumerevoli organi che di carcere si occupano; soggetti che, neanche a dirlo, vedono la Polizia Penitenziaria come il fumo negli occhi.
La Polizia Penitenziaria in questo momento risulta del tutto indifesa e di questo vi è la pressoché totale certezza; indifesa da parte delle Istituzioni, indifesa da parte della Politica e indifesa da parte dell’Amministrazione.
Quale ne sia la lettura che ne vogliano dare, la mancata costituzione del Corpo quale parte civile nel processo sulla morte di Stefano Cucchi, oltre ad essere una “sconfitta” per la Polizia Penitenziaria ha un suo preciso significato, che non è quello del “garantismo” ad ogni costo, ovvero di un datato perbenismo a discapito delle regole di civile convivenza, come sembra volersi attuare nelle carceri italiane anche se occupate da 700 detenuti del 41 bis e quasi 11 mila collegati alle criminalità organizzate, oltre al resto.
Vogliono dismettere del tutto la Polizia Penitenziaria?
Renderla frustrata, impotente e persino priva di riconoscimento e voce, come negli ultimi ventinove anni ma oggi con maggiore vigore?
Per questo un’Amministrazione penitenziaria centrale talmente “debole” da non esprimere alcuna idea nuova e da rendersi riconoscibile solo attraverso le sospensioni dal servizio?
Chi vuole e perché vuole fare a meno della Polizia Penitenziaria nelle carceri italiane se non per finalità che non sono quelle della legalità, degli interessi della Collettività e del progresso del Paese?
Troppe domande, forse, che però poniamo nella speranza che non ci sia veramente qualcuno che le risposte le ha già date ed è passato dalla teoria ai fatti.
LEO BENEDUCI