Tremila firme solo nella città di Milano nei primi due giorni di campagna per i referendum sulla giustizia, promossi dal Partito Radicale Transnazionale e dalla Lega. Ai tavoli e ai gazebo cittadini hanno firmato tra gli altri il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e il possibile candidato sindaco di Milano per il centrodestra, Luca Bernardo. Occorrono 500 mila firme in tre mesi.
Altissima partecipazione anche nel resto del Paese: secondo i dati diffusi dalla Lega nella serata di domenica, sono state superate in due giorni 100 mila firme in Italia e 25 mila in Lombardia. “L’avvio della campagna della Lega per i referendum sulla giustizia è stato davvero un grande successo”, dichiara Stefano Bolognini, commissario della Lega in città: “A Milano sono state raccolte tremila firme nel solo fine settimana e in molti gazebo sono addirittura terminati i moduli per la raccolta. Un risultato straordinario, che conferma non solo la voglia della gente di partecipare ed essere protagonista, ma, soprattutto, che il sistema della giustizia va finalmente cambiato”.
Il primo quesito riguarda le regole per le elezioni del Consiglio Superiore della Magistratura. Secondo i proponenti, “il ‘caso Palamara’ ha portato alla luce i guasti del sistema delle correnti” e “il primo passo per poterlo sradicare è quello di superare il potere di veto delle correnti all’interno del Csm”. Attualmente un magistrato che voglia candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme. Con il referendum verrebbe abolito il vincolo delle firme in modo da permettere “a tutti i magistrati di candidarsi, senza dover sottostare al condizionamento delle correnti”.
Il secondo quesito riguarda l’abolizione della Legge Severino che prevede, in caso di condanna superiore ai due anni, che ad alcune specifiche ipotesi di reato sia comminata automaticamente la sanzione accessoria dell’incandidabilità alla carica di parlamentare, consigliere e governatore regionale, sindaco e amministratore locale. Secondo i promotori del referendum l’ultima parola deve invece spettare al giudice che può stabilire, oppure no, in base al caso specifico, se comminare, oltre alla sanzione penale, anche la sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e per quanto tempo.
Il terzo quesito riguarda la responsabilità diretta dei magistrati. Secondo la legge attualmente in vigore, chi oggi è vittima di un errore giudiziario può chiamare in causa lo Stato che poi, entro due anni dal risarcimento, ha l’obbligo di rivalersi nei confronti dello stesso magistrato “nel caso di diniego di giustizia”, qualora si ravvisi una “violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea” o se viene accertato che “il travisamento del fatto o delle prove” siano “stati determinati da dolo o negligenza inescusabile”. L’obiettivo del referendum è invece permettere al cittadino di poter chiamare in giudizio direttamente il magistrato.
Il quarto quesito riguarda la riforma della custodia cautelare (preventiva rispetto alla condanna), che può comunque avvenire soltanto in via eccezionale (almeno in teoria, perché poi nei fatti spesso si abusa di questo strumento). Attualmente si può incorrere nel carcere prima della condanna per uno o più fra tre ragioni: pericolo di fuga, d’inquinamento delle prove e/o di reiterazione del reato. In quest’ultimo caso, conta molto avere o non avere precedenti specifici, cioè per lo stesso reato per cui si è stati arrestati. Il referendum vuole che questa determinante valga soltanto per reati particolarmente gravi (delitti per mezzo di violenza personale, contro l’ordine costituzionale o di mafia). Va ricordato che, secondo il sito “Errori Giudiziari”, dal 1992 al 31 dicembre 2020 si sono registrati 29.452 episodi di ingiusta detenzione legati alle misure cautelari e, in media, 1.015 innocenti in custodia cautelare ogni anno. Oltre al danno personale, tutto ciò costa allo Stato circa 27 milioni di euro all’anno in indennizzi.
Il quinto quesito riguarda la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti (i pm) e giudicanti. Ad oggi i magistrati della pubblica accusa e quelli chiamati a giudicare sono inseriti in un’unica categoria professionale. Nel corso della loro carriera i magistrati passano più volte dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa. Una contiguità che rischia di creare “spirito corporativo” tra le due figure, compromettendo l’antagonismo tra pm e giudici in aula giudiziaria. A favore della separazione delle carriere si schierò, tra gli altri, Giovanni Falcone.
Il sesto quesito, infine, riguarda la disciplina interna della magistratura. Attualmente, quando i Consigli giudiziari locali valutano la professionalità dei magistrati, escludono dalla discussione e dalla votazione la componente “non togata”, composta da avvocati e docenti universitari. Il referendum mira invece ad includerli nella valutazione sulla qualità del lavoro dei magistrati.
Fonte: milanotoday.it
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