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MODENA – Un anno fa la rivolta in carcere: “Un disegno criminoso predeterminato”

La sommossa dell’8 marzo, che ha portato poi a 9 decessi, nasce come un tentativo di evasione ben pianificato: lo sostiene la Polizia Penitenziaria nei documenti messi a verbale dopo i fatti.

Nell’anniversario della rivolta nel carcere di Sant’Anna fa notizia la decisione della Procura della Repubblica di chiedere l’archiviazione per l’indagine sui decessi di 8 dei 9 detenuti che morirono in quelle circostanze. Una prima risposta della magistratura, ancora parziale, ad una vicenda estremamente complessa: ad oggi, infatti, la sommossa nella sua interezza non ha ancora ricevuto definizioni certe nelle sue dinamiche e nelle responsabilità.

Quanto ad oggi ci è possibile riferire riguarda un estratto della relazione preliminare redatta dalla stessa Polizia Penitenziaria nel luglio dello scorso anno, che funge da introduzione al documento con cui i Pm modenesi hanno chiesto l’archiviazione del procedimento sui decessi. Un documento fondamentale per un’indagine a tutto tondo, dal quale emerge un elemento non trascurabile: la rivolta sarebbe stata premeditata: “I fronti della rivolta aumentavano continuamente ed evolvevano in modo simultaneo e rapidissimo, secondo un disegno criminoso evidentemente predeterminato, volto a indebolire la capacità di in di contrasto e l’efficacia delle misure di contrapposizione: tempi e modalit della protesta ne sono un chiaro sintomo“, spiega a verbale la Penitenziaria.

Siamo nel periodo di esplosione dell’emergenza covid in Italia e anche al Sant’Anna emerge un caso, reso noto proprio alla mattina dell’8 marzo. Da lì incomincia il sollevamento dei detenuti, mentre il personale è impegnato ad organizzare il dispositivo di sicurezza sanitaria e mentre il medico avvia una lunga serie di visite: circa una cinquantina di detenuti della Terza Sezione. La notizia del contagio preoccupa molto e in tarda mattinata inizia la rivolta, quando ai detenuti di varie sezioni viene come di consueto aperto l’accesso ai cortili.

I disordini partono simultaneamente in molte sezioni, fatto che porta la Polizia Penitenziaria a supporre un coordinamento “efficiente” fra i detenuti. Anche l’obiettivo dei rivoltosi pare chiaro in queste prime fasi: l’evasione. Il personale interno lascia le posizioni di vigilanza e si raduna al piano terra per fare da argine, mentre viene chiesto l’intervento di altri contingenti delle forze dell’ordine.

La penitenziaria individua quattro diversi fronti o fasi. Il primo tentativo di evasione avviene dalle mura di cinta: viene depredato il deposito degli attrezzi, dove alcuni carcerati recuperano scale grazie alle quali si portano sulla sommità del muro di cinta, portando con sè corde per provare la discesa. E’ in questa circostanza che vengono sparati in aria alcuni colpi di arma da fuoco a scopo intimidatorio. Gli agenti hanno successo e riescono a neutralizzare questi primi tentativi, così come quello di raggiungere l camminamento sopra la portineria centrale.

Il secondo fronte è quello della porta carrabile principale. Qui i rivoltosi si radunano in un numero consistente, armarti di “caditoie in ghisa, estintori e mazzette”, ma il cordone dei poliziotti regge e l’intervento di veicoli sbarra l’uscita dalla porta carraia.

Uno degli snodi, per quanto concerne i decessi, è quello dell’assalto all’infermeria, dove i detenuti irrompono forzando con un flessibile la porta blindata che chiude l’area, per poi saccheggiare gli armadietti dei medicinali, compresa la cassaforte destinata agli stupefacenti, aperta dopo aver trovato la chiave in una cassetta di sicurezza forzata. In questi spazi sono presenti anche due infermiere, intente a preparare le tante dosi di medicinali somministrate giornalmente ai detenuti: le due rimangono nascoste fino a che non vengono scoperte e liberate da alcuni detenuti, che forniscono la loro garanzia che non subiranno violenze e le scortano fino al ricongiungimento con il resto del personale.

Quello che segue alla razzia è uno scenario ancora più caotico, almeno stando alla relazione della Penitenziaria. “I detenuti riempivano sacchi per l’immondizia con quantitativi ingenti di farmaci, che, pi, riportavano in sezione per la distribuzione e l’assunzione. Nelle sezioni, la presenza di tali medicinali scatenava violente colluttazioni e, addirittura, risse fra detenuti, soprattutto per procurarsi psicofarmaci e metadone, Atri detenuti consumavano farmaci direttamente in area sanitaria e all’esterno del plesso detentivo (anche sul campo sportivo, ove si formava un vero e proprio accampamento)“. Una sorta di frenesia per l’utilizzo di sostanze, quindi , degenerata in decine di casi di overdose pii trattati dal personale medico o drammaticamente terminati con i decessi.

Il quarto ed ultimo fronte è quello della resistenza interna, con la quale gli agenti hanno dovuto lottare per oltre ore, fino al completo controllo della struttura raggiunto solamente nel pomeriggio della giornata successiva, quando alle ore 16.30 tutti i rivoltosi raggiungono un “accordo” e rientrano nelle rispettive celle consentendo alle forze dell’ordine di riportare l’ordine in tutte le sezioni. La guerriglia all’interno del penitenziario è decritta come violenta: “Molti locali posti al piano terra venivano completamente devastati dalle fiamme appiccate dai detenuti, tutti i box agenti e i presidi interni di sicurezza distrutti e resi inagibili.“. L’opposizione dei detenuti avveniva tramite “oggetti contundenti, lame da taglio, seghe, caditoie, estintori, serbatoi del gas. Oggetti per lo più sottratti dai locali di deposito della manutenzione ordinaria del fabbricato e dalla cucina dei detenuti del padiglione principale.”

Anche in questo contesto drammatico, la speranza è che la magistratura possa fare luce su tanti aspetti diversi che hanno caratterizzato quelle giornate, per dare un inquadramento complessivo ai fatti.
Fonte: modenatoday.it
Redazione OSAPPoggi

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