Caro Riformista, ho letto con interesse l’intervista a Luca Zevi sul progetto per la realizzazione del carcere di Nola. Dalle sue parole sembrano esserci le premesse per dare corso a una nuova stagione progettuale in grado di fornire edifici carcerari rispondenti alle esigenze della gestione penitenziaria più avanzata e alle istanze costituzionali in materia di esecuzione penale, oltre che ai bisogni materiali e psicologici di detenuti e personale, attraverso soluzioni architettoniche di avanguardia. Così, purtroppo, non è. Le condizioni avverse a tale corso sono rappresentate dalla mancanza di veri strumenti culturali in grado di affrontare coerentemente il tema della progettazione carceraria, cui si affiancano l’insensibilità politica e della cultura architettonica al tema e la burocrazia.
La vicenda progettuale del carcere di Nola è emblematica in tal senso. Il progetto è quello del bando ministeriale per la costruzione del nuovo istituto penitenziario del 2017, elaborato dagli uffici tecnici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Nelle intenzioni il nuovo istituto doveva essere il primo in Italia scaturito da quanto pensato e stabilito dai tecnici del tavolo numero uno degli Stati generali dell’esecuzione penale nel 2015. Il tavolo era coordinato dall’architetto Luca Zevi composto da altri architetti, tra i quali il sottoscritto, operatori penitenziari e della giustizia chiamati dall’allora guardasigilli Andrea Orlando a individuare interventi architettonici negli istituti esistenti e a elaborare nuove configurazioni degli spazi della pena in linea con le istanze internazionali più progredite in materia di trattamento penitenziario. Quel progetto ministeriale palesò fin da subito una netta discontinuità rispetto alle indicazioni del tavolo numero uno, caratterizzandosi negativamente in termini di localizzazione, capienza e soluzioni architettoniche.
Gli stessi elementi di negatività furono rilevati e stigmatizzati in occasione del dibattito che si tenne il 22 marzo 2017 presso l’università di Roma Tre sul tema “Spazio della pena e architettura carceraria, il caso Nola dopo gli Stati generali dell’esecuzione penale”, alla presenza, tra gli altri, dell’allora sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri. Lo stesso sottosegretario, in quella sede, prese atto e ammise che, nel caso del progetto del carcere di Nola, era venuto a mancare il rispetto delle linee guida e degli indirizzi fondamentali previsti per quel tipo di struttura. In quella circostanza lo stesso rappresentante dell’Ordine degli architetti di Roma evidenziò giustamente anche l’errata scelta dell’amministrazione penitenziaria, la quale, invece di bandire un concorso di idee progettuali, preferì ricorrere a una gara più sbrigativa, sostanzialmente basata su un’offerta tecnica ed economica al ribasso.
Nonostante tutto, oggi come allora, quel progetto continua da qualcuno a essere decantato pur contraddicendo i contenuti del lavoro portato avanti dall’apposito tavolo ministeriale. L’attuale ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, sembrerebbe aver sconfessato quel progetto esprimendo l’intenzione di annullarne la realizzazione. L’iter procedurale per la costruzione di quell’opera, in carico al Provveditorato regionale delle opere pubbliche della Campania, avviato nel 2014, però, non risulterebbe al momento interrotto. Lo stato di sovraffollamento cronico delle nostre carceri, tutt’ora presente e ulteriormente aggravato dall’emergenza-Covid, la cui soluzione sarebbe riconducibile alla realizzazione pressoché immediata di almeno 10mila posti letto (singoli), richiederebbe ben altre risposte e tempistiche, ma anche apporti culturali. Alle vicende descritte potremmo attribuire, senza tema di smentita, l’espressione “miseria delle nostre carceri”, che, con riferimento allo stato materiale delle infrastrutture penitenziarie del nostro Paese, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano proferì nel 2013, a seguito della condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani.
fonte: www.ilriformista.it