CASO 1 – La direzione di un istituto penitenziario propone di dismettere la denominazione “ passeggi “ introducendo quella alternativa di “ socialità all’aperto” ritenuta più aderente al contesto e demandando il servizio di vigilanza e osservazione all’addetto alla vigilanza armata.
La prima parte della questione oggetto di approfondimento riguarda un aspetto nominalistico: passeggio o socialità?
Il termine passeggio, come adeguatamente illustrato nell’ordinamento penitenziario commentato a cura di Franco Della Casa e Glauco Giostra, rimonta ad una terminologia del regolamento carcerario del 1931 “passeggio nei cortili” che ben evocava l’immagine di un noto dipinto di Vincent Van Gogh noto come “la ronda dei carcerati”.
Ebbene, ancora oggi nelle circolari ministeriali si perpetua questa denominazione (passeggio) ed è singolare che l’amministrazione mostri prudenza e cautela sull’uso del termine cella che oltre ad essere corretto si rinviene nella letteratura, nei testi accademici, nelle sentenze della Corte di Cassazione, nella normativa sovranazionale – ignorando invece la concrezione linguistica del passeggio –
Occorre poi tener presente che le regole penitenziarie europee al punto 27.1 (ribadito nella risoluzione ONU del 17 dicembre 2015) stabilisce la permanenza all’aperto per almeno un’ora.
La legge 354/1975 eleva a non meno di due ore la permanenza dei detenuti nei cortili stabilendone di regola almeno quattro cui si aggiunge la socialità in sezione secondo le modalità esplicative fornite dal Dipartimento che consente l’apertura dei detenuti per otto ore.
E’ interessante osservare che le regole penitenziarie europee prevedono anche un intera parte dedicata all’ORDINE inteso come la esigibilità dei doveri di comportamento dei detenuti, nei cui confronti occorre fare delle precise valutazioni nella prospettiva della prevenzione di “eventi critici”.
Il punto 64 delle regole penitenziarie europee legittima il ricorso alla forza, anche in caso di resistenza passiva, legittimando l’uso di mezzi di contenzione […] per il tempo strettamente necessario.
La circostanza di questa asimmetria nella disciplina della permanenza all’aperto ergo della predisposizione delle misure volte a garantire l’ordine, non solo determina l’insorgenza di rischi per la comunità penitenziaria, ma sovraespone gli operatori di Polizia.
In sostanza, se le regole penitenziarie europee dicono che il detenuto va valutato la Direzione deve farlo e il personale di polizia allo stesso tempo va messo nelle condizioni di poter intervenire.
Nulla di tutto questo accade.
Per inciso la Polizia di Stato, per l’espletamento dei compiti istituzionali, è stata dotata di FASCE IN VELCRO il cui impiego, secondo le indicazioni di un prontuario operativo emanato dalla competente articolazione del Ministero dell’Interno, consentirebbe in caso di DOTAZIONE ANCHE ALLA POLIZIA PENITENZIARIA di soddisfare le prescrizioni delle regole penitenziarie europee sull’uso dei mezzi di contenzione.
PASSIAMO ORA ALLA SECONDA QUESTIONE: IL DIRETTORE PUO’ ACCORPARE I DUE SERVIZI?
In primo luogo, dobbiamo evidenziare che il regolamento di servizio del 1999, oltre a precedere il d.lgs 146/2000 istitutivo dei ruoli direttivi del Corpo, doveva essere modificato, in virtù di una espressa delega legislativa tuttora disattesa.
In sostanza l’amministrazione è in ritardo nella emanazione di un testo che disciplina i servizi della Polizia penitenziaria.
Sempre nel 2000 è stato emanato il dpr 230/2000 che prepone alla Direzione di ogni istituto penitenziario un funzionario “civile” che assume la denominazione di Direttore che è responsabile della sicurezza all’interno dell’istituto e si avvale tra gli altri della Polizia penitenziaria.
La Direzione del Reparto (contemplato in una norma di rango primario identificabile nell’art.3 della legge 354/1975) è demandata a un funzionario del Corpo ai sensi del d.lgs 146/2000.
Quindi nel nuovo regolamento di servizio (de jure condendo) il Direttore cui compete l’approvazione del servizio dovrebbe essere il Comandate e non già quello amministrativo del penitenziario,
Ma noi ora a causa di questa lacuna normativa dobbiamo ragionare (de jure condito) e questo ci permette di rilevare che l’elencazione dei servizi della Polizia penitenziaria di cui all’art.34 del dpr 82/1999 seppur aperta a possibili ampliamenti (attraverso la previsione del comma 2 in cui vi è menzione di servizi non espressamente previsti dal comma 1) non consente una ibridazione.
Questo perché l’art.38 del dpr cit., che disciplina il servizio di vigilanza armata prevede lo stanziamento della cd. sentinella in garitta, ma soprattutto fa riferimento a speciali doveri della cd. sentinella, a cui preclude di farsi avvicinare da alcuno.
Viceversa, la socialità e/o i passeggi postulano il controllo della chiusura dei cancelli, la verifica sulle modalità di relazione tra i detenuti, la perquisizione ed altre attività che non possono essere accorpate.
Un’ultima evidenziazione: le perquisizioni che il regolamento di servizio prescrive agli agenti nelle varie articolazioni, ai sensi dell’art.74 c.1 del dpr 230/00 devono essere effettuate alla presenza di un appartenente al Corpo con la qualifica non inferiore a vice sovrintendente.
Quindi, in caso di assenza del vice sovrintendente o di un “ufficiale di polizia giudiziaria “ è legittima l’operazione?
NO, perché l’unica ipotesi in cui gli agenti di polizia giudiziaria possono compiere tale atto è rispetto a quelle contemplate dal codice di procedura penale “nei casi di necessità ed urgenza”.
Non rientrano in tale evenienza quelle ordinarie e rituali, ma soprattutto l’agente ha, ai sensi degli artt.24 e 26 del dpr 82/1999 l’obbligo di informare il preposto che adotterà, se ha la qualifica di assistente, le opportune iniziative per assicurare lo svolgimento delle operazioni da parte di un vice sovrintendente reperibile nell’istituto, tenendo presente il prescritto requisito dell’identità di sesso (in un femminile l’immissione delle detenute nel cortile è preceduta da una perquisizione alla presenza di una vice sovrintendente).
Conclusioni
La dismissione del termine “passeggio” oltre ad essere auspicabile è possibile e le nostre affermazioni trovano conferma sul piano storico ed accademico.
Il Direttore amministrativo del penitenziario non può accorpare “sentinella e passeggi” perché i servizi della Polizia penitenziaria fanno capo al reparto che costituisce un’entità autonoma posta alle dipendenze di un qualificato Direttore (il funzionario della Polizia penitenziaria che attende all’incarico di comandante).
La nomenclatura adeguata per tutti i direttori è funzionario e ciò trova conferma nella Costituzione non solo rispetto all’art.28 che disciplina la loro responsabilità, ma anche in altre norme.
Su questi aspetti torneremo e, purtroppo, gli spunti di riflessione sono davvero tanti e rinviano a tante altre considerazioni, a cominciare dalle relazioni intersoggettive tra Reparto di Polizia penitenziaria e Direzione dell’Istituto.
Il Reparto è un’entità autonoma a competenza specifica art.3 legge 395/1990) nella stessa misura in cui lo è l’area sanitaria che ha un Direttore medico.
I regolamenti in contrasto con la legge – e la normativa sovranazionale – andrebbero disapplicati dall’Amministrazione che ha l’obbligo di farsi parte diligente rispetto alla prescritta emanazione del Regolamento del Corpo di Polizia penitenziaria che, si auspica, sia chiaro e privo di tautologie e locuzioni inconsistenti.
By Magile
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